La cannabis e i suoi estratti vengono sempre più impiegati per affiancare il trattamento di diverse patologie, con particolare riferimento a una condizione di dolore cronico dovuta da traumi o malattie.
Facciamo quindi chiarezza su due termini che vengono utilizzati spesso, e spesso confusi:
Di cosa parliamo quando parliamo di Cannabis Terapeutica e Cannabidiolo?
La cannabis a scopo terapeutico viene utilizzata dall’essere umano fin dall’antichità ma solo negli ultimi decenni l’uso terapeutico vero e proprio è stato approfondito dalla comunità medico-scientifica.
I risultati non si sono fatti attendere. Negli ultimi anni sono stati prodotti vari farmaci a base di cannabinoidi e la stessa Organizzazione della Sanità è intervenuta sulla questione, lanciando segnali di grande apertura nei confronti della cannabis per uso medico.
È così che la cannabis viene utilizzata in varie forme, anche come preparato galenico sotto prescrizione medica e preparazione farmaceutica. La sua efficacia nel contrastare alcuni dei sintomi della sclerosi multipla è dimostrata; ma può essere utile anche in casi ben più gravi, come nei confronti degli spasmi che colpiscono le persone che hanno subito lesioni del midollo spinale.
Questo grande entusiasmo nei confronti delle promesse della cannabis ha generato anche una enorme confusione; in primo luogo terminologica. È molto importante, infatti, fare chiarezza su cosa sia effettivamente la cannabis a uso terapeutico.
Cosa significa “cannabis terapeutica”?
Per cannabis terapeutica si intende l’insieme di tutti quei farmaci a base di cannabinoidi – i principi attivi della cannabis – che sono stati sviluppati e approvati per l’utilizzo da parte dell’essere umano in un numero ormai consistente di paesi del mondo.
Le concentrazioni dei vari principi attivi (i principali sono il cannabidiolo CBD e il Delta-9-tetraidrocannabinolo THC) contenute nei farmaci a base di cannabis vengono calcolate con estremo rigore, esattamente come avviene con qualsiasi altro farmaco. Per “cannabis terapeutica” si devono considerare, quindi, tutti i prodotti contenenti cannabinoidi e non solo specifici principi attivi. Il cannabidiolo (CBD), invece, è uno specifico principio attivo della panta di cannabis e può essere impiegato a vari scopi tra cui ci sono quelli terapeutici.
Cosa regola la prescrizione e la somministrazione di cannabis terapeutica?
Le prime vere aperture all’impiego di farmaci contenenti cannabis, in Italia, risale al 2006.
A oggi, nel nostro paese è possibile ricorrere alla cannabis terapeutica tramite prescrizione medica per supportare le terapie standard.
A regolare l’impiego della cannabis terapeutica è il Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015 che suggerisce il suo impiego nel momento in cui le terapie standard non garantiscono gli effetti desiderati oppure, al contrario, provocano effetti secondari non tollerabili. Il decreto prevede l'impiego della cannabis per trattare il dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, nelle terapie per HIV; come stimolante dell’appetito, nella cachessia, nell’anoressia, per la perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa.
Il 27 luglio 2018 è entrato in vigore un “aggiornamento” del decreto precedente grazie a cui la cannabis terapeutica si può prescrivere per ogni tipo di dolore cronico, senza che questo debba essere per forza associato a una particolare condizione.
Si considerano tutti i tipi di dolore cronico, senza più fare distinzione tra il dolore oncologico, neuropatico o di altra natura.
Il Decreto ha una particolare valenza dato che riconosce una volta per tutte l’utilità della cannabis nella terapia del dolore nel suo senso più ampio.
Ogni regione ha la possibilità di legiferare sulla materia e bisogna tenere conto di questa differenziazione. Le prescrizioni si effettuano quando le terapie convenzionali o standard sono inefficaci.
Il Ministero della Salute ha diramato da tempo le linee guida necessarie e sono disponibili le informazioni per i medici e farmacisti e le istruzioni per la preparazione di medicinali contenenti cannabis.
Gli effetti terapeutici del CBD
Negli anni si è visto come il cannabidiolo abbia proprietà ansiolitiche, analgesiche, antiemetiche, antiepilettiche, antiossidanti, antinfiammatorie, antipsicotiche, neuroprotettrici, antireumatiche, induttrici del sonno.
Il cannabidiolo (CBD) agisce indirettamente sui recettori del sistema endocannabinoide.
Il cannabidiolo (CBD) nello specifico non agisce su una particolare patologia. Il CBD un principio attivo “multitarget”, coinvolto in piú meccanismi biochimici alla base di diversi processi patologici. Il CBD fa valere questa sua versatilità, e agisce, ad esempio, su vari tipi di dolore, fra cui quello neuropatico e quello infiammatorio.
In quali casi si ricorre al CBD?
Man mano che la ricerca scientifica si spinge nel profondo, emergono sempre più casi in cui il cannabidiolo risulta un validissimo alleato della nostra salute.
Il CBD è un agente terapeutico per una varietà di disturbi infiammatori e quindi tutti i disturbi autoimmuni, produce effetti antipsicotici e potrebbe avere un profilo d’azione simile a quello di altri farmaci antipsicotici. Inoltre il cannabidiolo viene impiegato per ridurre una condizione di ansia nei soggetti che ne sono particolarmente colpiti (di grande importanza per chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo, ansia sociale o stress post-traumatico).
Diversi studi scientifici hanno anche evidenziato come sia efficace per placare i sintomi dell’epilessia là dove altri farmaci non ottengono risultati. Dolore cronico, dolore articolare e anche nausea: il cannabidiolo viene impiegato sempre di più per accompagnare persone che soffrono di disturbi invalidanti e/o dolorosi.