L’utilizzo della cannabis in ambito medico non è una novità. I contesti di utilizzo di principi attivi come il cannabidiolo (CBD) o il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) sono molteplici. Nel caso del trattamento della sensazione di dolore (sia esso di tipo cronico oppure legato a una specifica patologia), sono sempre più i pazienti che scelgono di usare i principi attivi della cannabis, in genere ben tollerati e ritenuti più naturali. Nel caso della fibromialgia, la cannabis rappresenta una novità degli ultimi anni, ritenuta sempre più promettente. Cos’è la fibromialgia? La fibromialgia è una patologia reale, nonostante per lunghi anni sia stata considerata un disturbo psicosomatico, ovvero una risposta fisica a un disagio psicologico. La fibromialgia, infatti, è una sindrome reumatica multifattoriale, riconosciuta nel 1992 dall’OMS, che in Italia si stima colpisca tra i due e i tre milioni di persone, nella gran parte dei casi donne in età giovane e adulta. Individuare e riconoscere la fibromialgia non è facile e i contorni diagnostici sono oltremodo sfumati. In generale, la fibromialgia è caratterizzata da un dolore cronico, localizzato o diffuso in tutto il corpo. Tuttavia, i sintomi che la fibromialgia può provocare sono numerosi. Oltre al dolore cronico, i sintomi maggiormente riportati riguardano: Affaticamento o stanchezza cronica Disturbi del sonno Cefalea (mal di testa) Dolori articolari e tensione muscolare Ansia Tensione mascellare/mandibolare Altri sintomi includono: Vista sfocata Formicolii Acufeni Difficoltà di concentrazione, Disturbi gastrointestinali Tachicardia Crampi a carico degli arti inferiori Nonostante i grandi progressi nella ricerca scientifica degli ultimi decenni, ancora oggi le cause della fibromialgia sono sconosciute. Si ritiene che ci siano molti fattori che concorrono alla sua insorgenza: genetici, biochimici, ambientali e psicologici. Proprio a causa di questa grande varietà di sintomi, giungere alla diagnosi di fibromialgia non è semplice. Il paziente ricorre spesso alla consulenza di numerosi specialisti in vari ambiti (da quello ortopedico a quello neurologico), attraverso un percorso molto lungo che può portare alla corretta diagnosi anche dopo anni. Alla fine, si giunge a un trattamento personalizzato, che spesso non comporta soltanto una terapia farmacologica. Il paziente affetto da fibromialgia si incammina sulla strada verso la guarigione grazie a un approccio combinato tra farmaci, psicoterapia, esercizio fisico e gestione dei sintomi. È proprio per intervenire sui sintomi della fibromialgia l’ambito in cui le proprietà dei composti della cannabis (in particolare THC e CBD ) si rivelano più utili. Cannabis, dolore e ricerca scientifica Il complesso sistematico delle cause della fibromialgia non è ancora conosciuto. Di sicuro, non c’è un solo fattore scatenante in grado di definire questa malattia ma si è notata spesso una alterazione nei meccanismi con cui il nostro organismo genera la sensazione di dolore, che risulta essere amplificato. Nell’organismo dell’essere umano è presente il sistema endocannabinoide, composto da molecole (gli endocannabinoidi) e recettori presenti sia nel sistema nervoso centrale che nel sistema immunitario. Il sistema endocannabinoide è coinvolto in alcuni processi chiave del nostro organismo, fra cui la regolazione delle sensazioni di dolore e degli stati infiammatori. Alcuni studi hanno ipotizzato che la mancanza di attività degli endocannabinoidi sia alla base del processo che porta a sviluppare la fibromialgia, ma non si tratta ancora di un dato consolidato. Gli endocannabinoidi agiscono legandosi ai recettori chiamati CB1 e CB2; i recettori CB1 sono prevalentemente espressi nel sistema nervoso centrale, mentre i recettori CB2 si trovano principalmente sulle cellule del sistema immunitario. La potenzialità analgesiche dei principi attivi della cannabis - i cannabinoidi - derivano dalla loro azione sui recettori CB1. I cannabinoidi, infatti, inibiscono la trasmissione dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA), responsabile della regolazione dell'eccitabilità neuronale. Al momento, sono due i cannabinoidi che hanno dimostrato di avere effetti clinicamente rilevanti: il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD). I due principali principi attivi della pianta di cannabis agiscono in maniera differente, con diversi risultati. Poiché la cannabis e i cannabinoidi sono stati raccomandati per il trattamento del dolore neuropatico - e a causa delle somiglianze tra il dolore neuropatico e la fibromialgia - si ipotizza che la cannabis e i cannabinoidi possano essere efficaci anche per il dolore associato alla fibromialgia. La revisione degli studi più recente è del 2021 e, dopo una accurata selezione, ha individuato 22 studi condotti con metodi validi e, analizzandone i risultati, è stato possibile avere più chiaro quello che è l’attuale stato della conoscenza sull’efficacia dei cannabinoidi per la fibromialgia. Alcune di queste ricerche indicano che l'uso dei cannabinoidi comporta effetti collaterali molto limitati se usati per il trattamento della fibromialgia, e possono aiutare a lenire alcuni sintomi comuni e debilitanti associati alla malattia. Tra queste, vi è anche lo studio osservazionale condotto tra il 2015 e il 2017 da un’equipe del Dipartimento di reumatologia del Rabin Medical Center, realtà israeliana particolarmente attiva nell’ambito della ricerca sulla cannabis a uso medico. Lo studio, pubblicato nel 2019, è stato condotto su 367 pazienti con diagnosi di fibromialgia, con un periodo di follow-up di sei mesi. L’effetto terapeutico dei cannabinoidi si è manifestato in una sensazione soggettiva di sollievo dal dolore, e da un generale miglioramento della qualità della vita. Per esempio, all’inizio dell’esperimento erano ben 196 i partecipanti che avevano segnalato di soffrire di disturbi del sonno. Allo stesso tempo, erano 125 i pazienti che riportavano di soffrire di sintomi depressivi. A sperimentazione conclusa, i disturbi del sonno si erano attenuati per 144 pazienti ed erano addirittura svaniti in 26 casi. I sintomi depressivi sono migliorati per 101 pazienti su 125. In generale, la maggioranza dei partecipanti ha manifestato un miglioramento da “moderato” a “significativo”, con particolare riferimento all’intensità del dolore percepito. I ricercatori sono arrivati alla conclusione che la cannabis medica possa essere un'alternativa sicura ed efficace per il trattamento dei sintomi della fibromialgia. Cannabis, un'opzione terapeutica promettente per i pazienti con fibromialgia Le prove di quanto la cannabis possa essere efficace per intervenire sui sintomi della fibromialgia di certo non mancano. A testimoniarlo, infatti, ci sono studi clinici che riportano un netto miglioramento nelle condizioni dei pazienti, al punto da dismettere, in totale accordo con i medici curanti, la normale terapia farmacologica in favore dell’uso dei principi attivi della cannabis. D’altronde, ricerche, articoli e studi su cannabis e dolore hanno ormai portato a evidenze solide. La cannabis viene impiegata con successo per intervenire sui disturbi del sonno o sul dolore reumatico, al punto da diventare una delle prime scelte per le persone che soffrono di dolore cronico. I prodotti a base di cannabis, come gli oli al cannabidiolo (CBD), grazie al loro ottimo profilo di sicurezza, sono una delle opzioni per garantire al paziente affetto da fibromialgia una migliore quotidianità. A riportare i benefici di tali prodotti sono ben due terzi dei 2701 pazienti affetti da fibromialgia che hanno partecipato al sondaggio dell’Anesthesiology Department dell’Università del Michigan. Oltre ai risultati “pratici” riportati dai pazienti, ha colpito l’alto numero di partecipanti che hanno dichiarato di fare regolare uso di prodotti al CBD, fra cui quelli affetti da fibromialgia. È una tendenza che si è osservata anche in Italia, nel recente sondaggio Cannabeta che ha evidenziato il crescente interesse da parte della popolazione su un tema ormai sempre più di frequente al centro del dibattito pubblico. Fra i motivi che spingono i pazienti all’utilizzo di prodotti al cannabidiolo, spicca la necessità di intervenire su una condizione di dolore cronico. Mentre la ricerca sulla fibromialgia prosegue, la cannabis e i suoi principi attivi permettono di accompagnare i/le pazienti lungo un percorso di salute, fino a ritrovare il normale benessere. Bibliografia Argueta DA, Ventura CM, Kiven S, Sagi V, Gupta K. A Balanced Approach for Cannabidiol Use in Chronic Pain. Front Pharmacol. 2020 Apr 30;11:561. doi: 10.3389/fphar.2020.00561. PMID: 32425793; PMCID: PMC7204604. Bazzichi L, Giacomelli C, Consensi A, Giorgi V, Batticciotto A, Di Franco M, Sarzi-Puttini P. One year in review 2020: fibromyalgia. Clin Exp Rheumatol. 2020 Jan-Feb;38 Suppl 123(1):3-8. Epub 2020 Feb 21. PMID: 32116216. Chaves C, Bittencourt PCT, Pellegrini A. Ingestion of a THC-Rich Cannabis Oil in People with Fibromyalgia: A Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Clinical Trial. Pain Med. 2020 Oct 1;21(10):2212-2218. doi: 10.1093/pm/pnaa303. PMID: 33118602; PMCID: PMC7593796. Giorgi V, Bongiovanni S, Atzeni F, Marotto D, Salaffi F, Sarzi-Puttini P. Adding medical cannabis to standard analgesic treatment for fibromyalgia: a prospective observational study. Clin Exp Rheumatol. 2020 Jan-Feb;38 Suppl 123(1):53-59. Epub 2020 Feb 5. PMID: 32116208. Gonen T, Amital H. Cannabis and Cannabinoids in the Treatment of Rheumatic Diseases. Rambam Maimonides Med J. 2020 Jan 30;11(1):e0007. doi: 10.5041/RMMJ.10389. PMID: 32017684; PMCID: PMC7000161. Habib G, Artul S. Medical Cannabis for the Treatment of Fibromyalgia. J Clin Rheumatol. 2018 Aug;24(5):255-258. doi: 10.1097/RHU.0000000000000702. PMID: 29461346. Habib G, Khazin F, Artul S. The Effect of Medical Cannabis on Pain Level and Quality of Sleep among Rheumatology Clinic Outpatients. Pain Res Manag. 2021 Sep 6;2021:1756588. doi: 10.1155/2021/1756588. PMID: 34531934; PMCID: PMC8440085. Khurshid H, Qureshi I A, Jahan N, et al. (August 20, 2021) A Systematic Review of Fibromyalgia and Recent Advancements in Treatment: Is Medicinal Cannabis a New Hope?. Cureus 13(8): e17332. doi:10.7759/cureus.17332 Maffei ME. Fibromyalgia: Recent Advances in Diagnosis, Classification, Pharmacotherapy and Alternative Remedies. Int J Mol Sci. 2020 Oct 23;21(21):7877. doi: 10.3390/ijms21217877. PMID: 33114203; PMCID: PMC7660651. Mazza M. Medical cannabis for the treatment of fibromyalgia syndrome: a retrospective, open-label case series. J Cannabis Res. 2021 Feb 17;3(1):4. doi: 10.1186/s42238-021-00060-6. PMID: 33597032; PMCID: PMC7890993. Pacher P, Batkai S, Kunos G.. The endocannabinoid system as an emerging target of pharmacotherapy. Pharmacol Rev 2006;58(3):389–462. Quintner J. Fibromyalgia: the Copenhagen declaration. Lancet. 1992 Oct 31;340(8827):1103. doi: 10.1016/0140-6736(92)93128-a. PMID: 1357495. Sagy, I.; Bar-Lev Schleider, L.; Abu-Shakra, M.; Novack, V. Safety and Efficacy of Medical Cannabis in Fibromyalgia. J. Clin. Med. 2019, 8, 807. https://doi.org/10.3390/jcm8060807 Van de Donk, Tinea; Niesters, Mariekea; Kowal, Mikael A.b; Olofsen, Erika; Dahan, Alberta,*; van Velzen, Moniquea An experimental randomized study on the analgesic effects of pharmaceutical-grade cannabis in chronic pain patients with fibromyalgia, PAIN: April 2019 - Volume 160 - Issue 4 - p 860-869. doi: 10.1097/j.pain.0000000000001464 Walitt B, Klose P, Fitzcharles MA, Phillips T, Häuser W. Cannabinoids for fibromyalgia. Cochrane Database Syst Rev. 2016 Jul 18;7(7):CD011694. doi: 10.1002/14651858.CD011694.pub2. PMID: 27428009; PMCID: PMC6457965. Autore : Redazione Cannabeta
Le malattie neurodegenerative e la demenza legate all’invecchiamento hanno un grande impatto nella nostra società come dimostrano le più recenti statistiche: circa 50 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza ed ogni anno ci sono quasi 10 milioni di nuovi casi [1]. La malattia di Alzheimer è la forma piú comune di demenza e puó contribuire al 60-70% dei casi, seguono i deficit cognitivi post ictus ed il declino cognitivo-motorio nella malattia di Parkinson [1]. Le farmacoterapie attualmente disponibili sono prevalentemente sintomatiche, con diversi effetti collaterali, e non riescono a svolgere un’azione neuroprotettiva. Numerosi studi scientifici hanno dimostrato un coinvolgimento del Sistema Endocannabinoide (ECS) nella neurotrasmissione, nella neuropatologia e nella neurobiologia delle malattie neurologiche tipiche dell’invecchiamento suggerendo nuove potenzialità terapeutiche. Tuttavia gli studi mirati a replicare, nell’organismo umano, i risultati osservati nel modello animale sono ancora scarsi. La maggior parte dei dati sulle nuove strategie di trattamento delle neuropatologie senili a base di cannabinoidi proviene, quindi, dagli studi preclinici. THC e CBD: i protagonisti dell’azione cannabinoide I principali fitocannabinoidi estratti dalla Cannabis sativa sono il Cannabidiolo (CBD) e il Delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Entrambi questi cannabinoidi sono in grado di interagire, sia come agonisti sia come antagonisti, sui recettori del Sistema Endocannabinoide umano, CB1 e CB2, sui recettori serotoninergici 5HT1A e 5HT3 e sui recettori vanilloidi, in particolare TRPV1. Grazie a questa capacità di legame, il THC e il CBD hanno mostrato numerose proprietà terapeutiche nel trattamento di alcune malattie neurodegenerative. L’azione esercitata sul tessuto nervoso e le caratteristiche farmacologiche dei due cannabinoidi sono state studiate in letteratura: Cannabidiolo (CBD): In vitro: il CBD riesce a modulare il rilascio di fattori infiammatori, come le citochine, ed attivare la migrazione delle cellule microgliali basali, responsabili dei danni neuronali, svolgendo un’azione immunomodulante [2]. Inoltre, il Cannabidiolo svolgerebbe un’azione antiossidante nel tessuto nervoso grazie alla sua capacità di legare le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Tale proprietà sembra derivare dalla sua struttura chimica contenente 2 gruppi idrossilici captanti le ROS [3]. Il CBD ha mostrato sperimentalmente di iperfosforilare le proteine TAU coinvolte nella formazione delle placche amiloidi della malattia di Alzheimer [4]. In vivo: i dati ottenuti da numerosi studi su diverse condizioni patologiche associate al danno cerebrale indicano che il CBD abbassa i livelli di stress ossidativo nel tessuto nervoso e rallenta l'attivazione delle cellule della microglia riducendo eventi infiammatori locali [5]. Il CBD avrebbe mostrato, inoltre, effetti neuro protettivi attraverso due meccanismi: il primo mirato all’incremento della capacità di risposta degli enzimi antiossidanti endogeni verso lo stress ossidativo, dovuto ad infiammazione persistente, caratteristica dei disturbi neurodegenerativi. Il secondo attuato nei confronti delle citochine pro-infiammatorie, di cui riduce la sintesi, attraverso l’inibizione del fattore di trascrizione NFkB [6,7]. Il CBD migliorerebbe, quindi, la sopravvivenza neuronale che viene ridotta nelle patologie neurodegenerative da meccanismi endogeni ossidanti. Tetraidrocannabinolo (THC): Recenti studi hanno dimostrato, in modelli animali, l’azione neuroprotettiva del THC in particolare verso la rete neuronale dell’ippocampo [8,9]. A seguito della somministrazione di THC, si è evidenziata la promozione della neurogenesi nell'ippocampo, in topi con danni cognitivi indotti da infiammazione persistente, con ripristino delle funzioni cognitive e della memoria [10,11]. Il THC sembra provocare sia in vitro che in vivo una risposta bifasica dose dipendente in grado di influire sulla risposta del tessuto cerebrale [12]. Dosi di THC inferiori a 3 mg/kg p.p. hanno mostrato di ridurre la sintesi del marcatore amiloide, caratteristico della malattia di Alzheimer, senza produrre deficit di memoria tipicamente conseguenti all’effetto psicotropo [13,14]. Azione sinergica CBD-THC Si è dimostrato che l’azione del CBD riesce a ridurre al minimo gli effetti psicotropi della metabolizzazione del THC da parte del citocromo P450 nell’organismo umano [15]. Se ne deduce che la somministrazione contemporanea di THC e CBD è utile per ridurre gli effetti collaterali del THC e per potenziarne gli effetti positivi. Tale azione è già stata dimostrata in clinica nell’uso di uno spray orale nel trattamento della spasticità e del dolore nella Sclerosi Multipla [16]. Cannabinoidi e Alzheimer: focus sull’azione neuro protettiva e antiossidante La malattia di Alzheimer è caratterizzata da placche neuritiche extracellulari costituite da depositi del peptide beta-amiloide. Le conseguenze di questa degenerazione nervosa sono la progressiva perdita di memoria a breve termine e di molteplici abilità intellettive, tanto da rappresentare la forma più comune di declino cognitivo. Studi Preclinici: Le ricerche precliniche sulle terapie a base di cannabinoidi nella malattia di Alzheimer hanno rivelato, in modelli animali, l’efficacia dell’azione agonista dei cannabinoidi verso i recettori CB1 e CB2. Il risultato sarebbe un’ evidente riduzione della sintesi del peptide beta-amiloide ed un conseguente miglioramento comportamentale nell’animale [17]. Sempre in modelli animali in vivo, è stata evidenziata l’inibizione delle cellule microgliali coinvolte nel processo degenerativo della patologia Alzheimer [18]. In un modello animale, la somministrazione di 3mg/kg di THC una volta al giorno per 4 settimane, con l’aggiunta di un inibitore della COX-2, ha ridotto il numero di placche beta-amiloidi e neuroni degenerati [19]. In vitro il Cannabidiolo ha mostrato di avere proprietà anti-apoptotiche grazie alla riduzione della perossidasi lipidica e della frammentazione del DNA. Sono, tuttavia, necessari ulteriori studi sugli animali per convalidare questi risultati in vivo e per preparare studi prospettici sull'uomo [20]. Studi Clinici: Sono attualmente disponibili pochi studi clinici sulla terapia cannabinoide nei malati di Alzheimer e, quasi tutti, sono basati sull’utilizzo di derivati del THC (nabilone e dronabinolo). I primi risultati ottenuti con la somministrazione orale di 2.5mg di dronabinolo hanno evidenziato un netto miglioramento degli stati di agitazione e del ritmo sonno-veglia nei pazienti [21]. Alcuni report sulla somministrazione orale di 0.5 mg di nabilone hanno osservato una forte riduzione dell’irrequietezza in poche settimane di trattamento, senza effetti collaterali [22]. Non sono ancora presenti in letteratura trial clinici sul cannabidiolo (CBD) nei pazienti con Alzheimer. Parkinson e Cannabinoidi: risultati promettenti sui deficit motori Il morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa caratterizzata da disturbi motori (tremore, bradicinesia, instabilità posturale), cognitivi e comportamentali progressivamente invalidanti. I sintomi derivano dalla morte progressiva dei neuroni dopaminergici della substantia nigra cerebrale. Studi Preclinici: La ricerca preclinica nel Parkinson si è concentrata principalmente sul miglioramento della neurotrasmissione nella discinesia motoria. In modelli animali che riproducevano la neurodegenerazione parkinsoniana, la terapia a base di cannabinoidi, ha ridotto il danno neuronale, che provocava discinesia, attraverso l’interazione con i recettori cannabinoidi CB1 e CB2 [23]. Il THC ed il CBD hanno dimostrato proprietà antiossidanti e migliorato l’impatto delle lesioni della substantia nigra in modelli animali [24]. Altre ricerche, sempre su modelli sperimentali, hanno descritto un beneficio dei danni motori grazie alla somministrazione di tetraidrocannabinolo [25]. Studi Clinici: Una survey su pazienti affetti da morbo di Parkinson di età compresa tra i 45 e gli 83 anni ha rivelato che ben il 25% dei soggetti usa la Cannabis per trattare i sintomi derivanti dalla malattia. Nel 45% dei casi si è ottenuto un miglioramento dei sintomi come rigidità, tremore e discinesia [26]. Quest’ultima rappresenta il principale obiettivo degli studi clinico-terapeutici con i cannabinoidi nel morbo di Parkinson. Il Cannabidiolo è risultato efficace nel promuovere un miglioramento compreso tra il 20% ed il 50% della discinesia nei pazienti osservati [27]. Gli studi clinici in doppio cieco hanno, tuttavia, riscontrato dati contraddittori. La somministrazione di nabilone orale (3 mmg/kg) ha ridotto la discinesia in alcuni pazienti [28], mentre in un altro studio la somministrazione orale di estratti di 2.5 mg THC e 1.25mg di CBD non ha raggiunto i risultati attesi nei soggetti studiati [29]. Quasi tutti i pazienti inclusi negli studi clinici non hanno riportato effetti avversi, solo in casi sporadici si è osservato un aumento dei sintomi dose-dipendente. Uno studio off-label sull’efficacia del CBD nel trattamento dei sintomi psicotici nel morbo di Parkinson, ha riportato risultati promettenti. A fronte di una dose orale di 150 mg/die somministrata per 4 settimane, i sintomi psicotici hanno subito una significativa riduzione senza effetti avversi durante la terapia [30]. Infine, un recente studio la somministrazione di una dose singola di 300 mg di CBD ha determinato in pazienti con morbo di Parkinson una diminuzione dell’ansia e dei tremori indotti da un Simulated Public Speaking Test [31]. Conclusioni Osservando gli attuali dati presenti in letteratura, notiamo la forte presenza di studi sulla terapia cannabinoide nel declino cognitivo effettuati in vivo e nell’iter preclinico. I risultati più consistenti riguardano l’azione neuro protettiva e antiossidante sia del Cannabidiolo che del Tetraidrocannabinolo che potrebbero rappresentare una vera e propria risorsa terapeutica per limitare l’estensione e la gravità dei danni neuronali tipici delle malattie neurodegenerative. Gli studi clinici, per ora numericamente scarsi, confermano l’azione terapeutica del THC sia nella malattia di Alzheimer che nel morbo di Parkinson. Bibliografia 1. World Health Organization, Global action plan on the public health response to dementia 2017 – 2025, WHO 2017. 2. Walter L, Franklin A, Witting A, Wade C, Xie Y, Kunos G, Mackie K, Stella N. Nonpsychotropic cannabinoid receptors regulate microglial cell migration. J Neurosci. 2003;23:1398–405. 3. Mechoulam R, Parker LA, Gallily R. Cannabidiol: an overview of some pharmacological aspects. J Clin Pharmacol. 2002;42:11S–9S. 4. Esposito G, De Filippis D, Carnuccio R, Izzo A, Iuvone T. The marijuana component cannabidiol inhibits beta-amyloid-induced tau protein hyperphosphorylation through wnt/beta-catenin pathway rescue in pc12 cells. J. Mol. Med. 2006, 84, 253-258 5. Camposa AC, Fogac MV, Sonegoa AB, Guimarãesa FS. Cannabidiol, neuroprotection and neuropsychiatric disorders. Pharmacol Res 2016;112:119-27. 6. Esposito G, De Filippis D, Maiuri MC, De Stefano D, Carnuccio R, Iuvone T. Cannabidiol inhibits inducible nitric oxide synthase protein expression and nitric oxide production in beta-amyloid stimulated PC12 neurons through p38 MAP kinase and NF-kappaB involvement. Neurosci Lett. 2006;99:91–5. 7. Esposito G, Scuderi C, Savani C, Steardo L, Jr, De Filippis D, Cottone P, Iuvone T, Cuomo V, Steardo L. Cannabidiol in vivo blunts beta-amyloid induced neuroinflammation by suppressing IL-1beta and iNOS expression. Br J Pharmacol. 2007;151:1272–9. 8. Jiang W, Yun Z, Lan X, et al. Cannabinoids promote embryonic and adult hippocampus neurogenesis and produce anxiolytic‐ and antidepressant‐like effects. J Clin Invest. 9. Suliman NA, Taib CNM, Moklas MAM, Basir R. Delta‐9‐tetrahydrocannabinol (∆9‐THC) induce neurogenesis and improve cognitive performances of male sprague dawley rats. Neurotox Res. 2018 10. Assaf F, Fishbein M, Gafni M, Keren O, Sarne Y. Pre‐ and post‐conditioning treatment with an ultra‐low dose of Delta9‐tetrahydrocannabinol (THC) protects against pentylenetetrazole (PTZ)‐induced cognitive damage. Behav Brain Res. 2011;220:194‐201. 11. Fishbein‐Kaminietsky M, Gafni M, Sarne Y. Ultralow Doses of Cannabinoid Drugs Protect the Mouse Brain From Inflammation‐Induced Cognitive Damage. J Neurosci Res. 2014;92:1669‐1677. 12. Calabrese EJ, Rubio-Casillas A. Biphasic effects of THC in memory and cognition, Eur J Clin Invest. 2018 May; 48(5):e12920. 13 Martín‐Moreno AM, Brera B, Spuch C, et al. Prolonged oral cannabinoid administration prevents neuroinflammation, lowers β‐amyloid levels and improves cognitive performance in Tg APP 2576 mice. J Neuroinflammation. 2012;16:8. 14. Puighermanal E, Marsicano G, Busquets‐Garcia A, Lutz B, Maldonado R, Ozaita A. Cannabinoid modulation of hippocampal long‐term memory is mediated by mTOR signaling. Nat Neurosci. 2009;12:1152‐1158. 15. Bih CI, Chen T, Nunn AV, Bazelot M, Dallas M, Whalley BJ. Molecular targets of cannabidiol in neurological disorders. Neurotherapeutics 2015;12:699-730. 16. Sastre-Garriga J, Vila C, Clissold S, Montalban X. THC and CBD oromucosal spray (Sativex®) in the management of spasticity associated with multiple sclerosis. Expert Rev Neurother. 2011;11:627–37. 17. Maaron J, Bost J. Review of the neurological benefits of phytocannabinoids. Surg Neurol Int. 2018 Apr 26;9:91. 18. Ramirez BG, Blazquez C, Gomez del Pulgar T, Guzman M, de Ceballos ML. Prevention of Alzheimer’s disease pathology by cannabinoids: Neuroprotection mediated by blockade of microglial activation. J Neurosci 2005; 25:1904-13. 19. Chen R, Zhang J, [...], and Chu Chen C. Δ9-THC-caused synaptic and memory impairments are mediated through COX-2 signaling. Cell. 2013 Nov 21;155(5):1154-1165 20. Walther S. , Michael Halpern M. Cannabinoids and Dementia: A Review of Clinical and Preclinical Data. Pharmaceuticals 2010, 3, 2689-2708 21. Walther S, Mahlberg R, Eichmann U, Kunz D. Delta-9-tetrahydrocannabinol for nighttime agitation in severe dementia. Psychopharmacology 2006;185:524-8. 22. Passmore, M.J. The cannabinoid receptor agonist nabilone for the treatment of dementia-related agitation. Int. J. Geriatr. Psychiatry 2008, 23, 116-117. 23. Fox S.H, Henry B, Hill M, Crossman A, Brotchie J. Stimulation of cannabinoid receptors reduces levodopa-induced dyskinesia in the mptp-lesioned nonhuman primate model of parkinson's disease. Mov. Disord. 2002, 17, 1180-1187. 24. Hill AJ, Williams CM, Whalley BJ, Stephens GJ. Phytocannabinoids as novel therapeutic agents in CNS disorders. Pharmacol Ther. 2012;133:79–97. 25. van Vliet, S.A, Vanwersch, R.A, Jongsma, M.J, Olivier, B, Philippens, I.H. Therapeutic effects of delta9-thc and modafinil in a marmoset parkinson model. Eur. Neuropsychopharmacol. 2008, 18, 383-389. 26. Venderova K, Ruzicka E, Vorisek V, Visnovsky P. Survey on cannabis use in parkinson's disease: Subjective improvement of motor symptoms. Mov. Disord. 2004, 19, 1102-1106. 27. Consroe P, Sandyk R, Snider S.R. Open label evaluation of cannabidiol in dystonic movement disorders. Int. J. Neurosci. 1986, 30, 277-282. 28. Sieradzan K.A, Fox S.H, Hill M, Dick J.P, Crossman A.R, Brotchie J.M, Cannabinoids reduce levodopa-induced dyskinesia in parkinson's disease: A pilot study. Neurology 2001, 57, 2108-2111. 29. Carroll C.B, Bain P.G, Teare L, Liu X, Joint C, Wroath C, Parkin S.G, Fox P, Wright D, Hobart J, Zajicek J.P. Cannabis for dyskinesia in parkinson disease: A randomized doubleblind crossover study. Neurology 2004, 63, 1245-1250. 30. Zuardi, A.W, Crippa J.A, Hallak J.E, Pinto J.P, Chagas M.H, Rodrigues G.G, Dursun S.M, Tumas V. Cannabidiol for the treatment of psychosis in parkinson's disease. J. Psychopharmacol. 2009, 23, 979-983 31. de Faria SM, de Morais Fabrício D, Tumas V, Castro PC, Ponti MA, Hallak JE, Zuardi AW, Crippa JAS, Chagas MHN. Effects of acute cannabidiol administration on anxiety and tremors induced by a Simulated Public Speaking Test in patients with Parkinson's disease. J Psychopharmacol, 2020 Jan 7. Autore: Redazione
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD, dall’inglese attention deficit hyperactivity disorder) rientra nella categoria dei disturbi del neurosviluppo, un insieme di disturbi i cui sintomi possono comparire nel corso dell’infanzia e che possono persistere anche in età adulta. ADHD: le caratteristiche L’ADHD è caratterizzato da problematiche che possono riguardare tre aspetti: la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività motoria. In genere, pur presentando manifestazioni estremamente variabili da persona a persona, si tende a individuare tre sottotipi del disturbo: ADHD con disattenzione predominante ADHD con iperattività predominante ADHD in forma combinata Le tre forme cliniche possono alternativamente essere presenti nello stesso soggetto durante la sua crescita e il suo sviluppo. Inoltre, l’insieme delle cause dell’ADHD è multifattoriale e include fattori genetici e ambientali la cui interazione contribuisce alla genesi del disturbo. La diagnosi di ADHD in età infantile avviene sulla base dell’osservazione diretta dei comportamenti del soggetto e tramite le informazioni raccolte da genitori e insegnanti. In generale, i criteri stabiliti dall’American Psychiatric Association [1] per indirizzare la diagnosi di ADHD, richiedono la presenza di almeno sei sintomi di disattenzione e/o sei sintomi di iperattivitá che devono persistere per almeno sei mesi e coinvolgere diversi aspetti della vita e delle attivitá quotidiane (per esempio, durante le attività di gioco, nelle attività scolastiche oppure nelle relazioni). I sintomi possono essere vari. In genere, quelli maggiormente descritti riguardano: Incapacità a prestare attenzione ai dettagli Difficoltá a organizzare e portare a termine compiti e attivitá Irrequietezza motoria Difficoltà a rimanere seduti Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, al pari di altre patologie neuropsichiatriche, si sviluppa nel corso del tempo. È pertanto necessario riferirsi a una soglia di rilevanza clinica che permetta di ricondurre determinati sintomi alla presenza di ADHD. Tale soglia è solitamente rappresentata dalla compromissione funzionale che il disturbo comporta in termini di resa scolastica e difficoltà nelle relazioni interpersonali. L’ADHD nei bambini è spesso associato con altri disturbi, come i disturbi dell’apprendimento e della condotta, i disturbi pervasivi dello sviluppo e i disturbi dell’umore. Alcuni dei sintomi spesso persistono anche in età adulta. Generalmente nell’adulto si osserva una parziale modifica delle caratteristiche cliniche del disturbo, determinata dal corso dello sviluppo individuale. La caratteristica prevalente e più compromettente risulta essere legata alle difficoltà attentive, mentre gli aspetti di iperattività si modificano e rimangono soprattutto legati all’impulsività e a una sensazione interna di irrequietezza e/o di inquietudine. I sintomi di ADHD nell’adulto possono essere l’eccessiva attenzione nei confronti di stimoli irrilevanti, oppure la scarsa abilità nell’organizzare sia procedure mentali che comportamentali in famiglia e sul lavoro [2]. ADHD e Cannabis I pazienti con diagnosi di ADHD possono essere sottoposti a varie terapie e più di recente, si è sviluppato un certo interesse nei confronti dell’utilizzo dei principi attivi della cannabis per intervenire sui sintomi dell’ADHD. Negli ultimi anni, la cannabis ha goduto di grande attenzione da parte della ricerca scientifica. Sono molti gli studi che hanno evidenziato la sua potenziale efficacia in diversi ambiti e contesti clinici. Nonostante ciò, il suo potenziale nell’ambito della psichiatria è ancora poco conosciuto. Nel 2020, sulle pagine di BMJ Psychiatry [3], è stata pubblicata una revisione sistematica di tutte le ricerche incentrate sull’applicazione della cannabis nel contesto dei disturbi psichiatrici. Nella revisione, gli autori hanno valutato i dati di tutti gli studi clinici (o i singoli casi di studio) che hanno coinvolto la cannabis a uso medico o i suoi principi attivi per il trattamento di tutti i principali disturbi psichiatrici. I risultati sono apparsi incoraggianti, anche se la ricerca in questo campo pare essere ancora a uno stato embrionale. Uno studio, in particolare, indicava l’efficacia potenziale per una combinazione di cannabinoidi/terpeni per via orale per l’ADHD. Nello stesso anno, sul Journal of Cannabis Research [4] è apparsa una revisione sistematica incentrata sulla ricerca sul ruolo terapeutico del cannabidiolo (CBD) nell’ambito della salute mentale. Gli autori hanno tenuto in considerazione 23 studi rilevanti sul CBD e farmaci come il nabiximols (un farmaco a base di cannabis) nel trattamento di una vasta gamma di disturbi psichiatrici. Secondo i risultati esposti dagli autori della revisione, i composti a base di cannabidiolo e il CBD in sé sono utili per alleviare i sintomi legati alla schizofrenia, all’ansia sociale e lo stress. Si evidenzia anche una moderata raccomandazione per quanto riguarda l’ADHD. C’è un fatto che è necessario considerare. La letteratura riporta che l’uso di sostanze e in particolare di cannabis è molto frequente tra gli individui (adolescenti e adulti) con diagnosi di ADHD. I meccanismi ipotizzati che porterebbero queste persone all’uso di cannabis sono molto vari. Per il momento, si ipotizza che il sistema endocannabinoide possa giocare un ruolo nell’ADHD anche attraverso il suo coinvolgimento nei circuiti cerebrali della ricompensa. Nel gennaio 2020, i ricercatori della facoltà di biologia dell’Institute of Technology di Haifa, in Israele, hanno condotto uno studio [5] per identificare le associazioni tra le dosi di cannabinoidi e terpeni somministrati e i sintomi del disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Lo studio si è svolto sottoponendo 59 pazienti a un questionario in cui hanno valutato i sintomi di ADHD percepiti e indicato le eventuali assunzioni di cannabis o derivati. Al netto di un campione molto ridotto e sulla base delle risposte fornite, è risultato che il consumo di fitocannabinoidi e terpeni è associato con la riduzione dell’uso di farmaci per l’ADHD. I risultati delle ricerche In generale, gli studi sull’utilizzo della cannabis nel trattamento dell’ADHD riguardano principalmente il disturbo in etá adulta. Case report e studi osservazionali evidenziano miglioramenti a seguito di trattamenti con cannabinoidi in pazienti adulti su diverse aree: sonno, umore, impulsivitá e concentrazione. Interessanti sono i dati emersi da uno studio sperimentale randomizzato [6] in doppio-cieco controllato con placebo , sul farmaco commercializzato con il nome di Sativex (nabiximols) su un campione di 30 adulti con ADHD non trattati farmacologicamente. Nello specifico l’outcome primario dello studio era la performance cognitiva e il livello di attività a seguito del trattamento con Sativex per un periodo di 6 settimane. Risultati secondari includevano sintomi comportamentali di ADHD e labilità emotiva. Per l’outcome primario, nessuna differenza significativa è stata trovata sebbene il pattern complessivo dei punteggi fosse tale che il gruppo trattato con Sativex avesse punteggi migliori del gruppo placebo. Per gli esiti secondari il trattamento con Sativex è risultato invece associato a un miglioramento significativo dell’iperattività e dell’impulsività, ad una misura cognitiva di inibizione e a una tendenza al miglioramento della disattenzione. I ricercatori hanno concluso che lo studio, pur presentando diversi limiti (periodo trattamento troppo breve, fallimento del doppio cieco, poiché i partecipanti avevano notato la presenza o l’assenza di effetti attesi) ha fornito prove preliminari a sostegno della teoria dell'automedicazione del consumo di cannabis nell’ADHD e ha individuato la necessitá di ulteriori studi sul sistema endocannabinoide nell’ADHD. Il futuro dei trattamenti a base di Cannabis Per il momento, emerge che gli studi esistenti sull’efficacia dell’utilizzo di cannabis in persone con diagnosi di ADHD sono ancora troppo pochi per giungere a conclusioni nette. Inoltre, spesso si tratta di studi non confrontabili tra di loro per diversitá di metodo, strumenti di analisi, caratteristiche dei partecipanti. Da non sottovalutare è poi la complessitá del disturbo preso in esame. Nonostante ciò i dati che emergono dalla ricerca esistente sul tema indicano un interesse verso futuri trattamenti a base di Cannabis per l’ADHD in etá adulta. La quantità di casi di studio e le testimonianze delle singole persone evidenziano una percezione soggettiva ricorrente a favore di un uso terapeutico della cannabis per l’ADHD. A ciò, si aggiungono i risultati promettenti dei pochi studi mirati a indagare l’efficacia dei principi attivi della cannabis per il trattamento dei sintomi di ADHD. C’è ancora molta strada da fare, e il mondo della ricerca si scontra anche con molte limitazioni alle possibilità d’indagine. Basti pensare che sono pressoché inesistenti gli studi su cannabis e ADHD in età pediatrica. Il fenomeno dell’uso di cannabis come automedicazione per l’ADHD è ormai molto diffuso e sottolinea una necessità, da parte di pazienti e ricercatori, per approfondire al meglio un tema così complesso e, allo stesso tempo, importantissimo per milioni di persone. Bibliografia American Psychiatric Association Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Fifth Edition APA, Washington, DC May 2013. Kessler RC. et al. Structure and diagnosis of adult attention-deficit/hyperactivity disorder:analysis of expanded symptom criteria from the Adult ADHD Clinical Diagnostic Scale. Arch Gen Psychiatry. 2010 Nov;67 (11):1168-78. Sarris, J., Sinclair, J., Karamacoska, D. et al. “Medicinal cannabis for psychiatric disorders: a clinically-focused systematic review”. BMC Psychiatry 20, 2020 Khan, R., Naveed, S., Mian, N. et al. “The therapeutic role of Cannabidiol in mental health: a systematic review”. J Cannabis Res 2, 2020 Hergenrather JY, Aviram J, Vysotski Y, Campisi-Pinto S, Lewitus GM, Meiri D., “Cannabinoid and Terpenoid Doses are Associated with Adult ADHD Status of Medical Cannabis Patients”. Rambam Maimonides Med J, 2020 Cooper RE, Williams E, Seegobin S, Tye C, Kuntsi J, Asherson P., “Cannabinoids in attention-deficit/hyperactivity disorder: A randomised-controlled trial”. Eur Neuropsychopharmacol, 2017 Autore: Redazione Cannabeta
Le patologie della pelle colpiscono un grande numero di persone. Malattie come la psoriasi o le dermatiti, molto comuni e dolorose, possono rendere la vita di chi ne soffre difficile e problematica. Il cannabidiolo (CBD), uno dei principi attivi della pianta di cannabis, si è dimostrato utile nel trattamento di numerose malattie della pelle. I benefici del CBD per la salute della pelle sono emersi anche in contesti particolarmente delicati. Un recente caso di studio mostra l’azione del CBD sulla pelle di un paziente che subisce gli effetti collaterali cutanei della chemioterapia. Abbiamo intervistato Nuria Sanchez dell’Onchology Institute Aesthetic e il Professor Pere Gascon, direttore del Laboratorio di oncologia molecolare e traslazionale dell’Università di Barcellona, che hanno seguito il paziente. La pelle è un organo prezioso. Protegge muscoli, ossa e organi interni. Ci rende sensibili al calore o alla pressione, grazie al suo ruolo di mediatrice del senso del tatto. Nonostante l’enorme importanza della pelle nel fare da “filtro” o “barriera” verso l’esterno, spesso tendiamo a non prendercene cura a sufficienza. Una scarsa attenzione alla salute della pelle può avere anche delle conseguenza; e non si tratta solo di secchezza o di prurito temporaneo. Molte persone si scontrano quotidianamente con i sintomi e i disagi provocati dalle patologie che colpiscono la pelle. Per esempio, un prurito costante o una sensazione di secchezza e dolore protratta nel tempo, possono avere effetti molto seri sulla vita della persona. Negli anni, si è sviluppata un’ampia letteratura scientifica che ha indagato i benefici di alcune sostanze nel trattamento dei disturbi della pelle. Fra questi, uno dei più promettenti è il cannabidiolo (CBD). È già da alcuni anni che il cannabidiolo (CBD) ha trovato impiego in ambito dermatologico. L’interesse, sia da parte della comunità scientifica che del pubblico, deriva dal crescente numero di risultati, riportati in contesti differenti, che evidenziano un potenziale effetto benefico del CBD sullo stato di salute della pelle. Gli ambiti applicativi sono molteplici e, più di recente, è emerso il potenziale del cannabidiolo nel trattare i particolari effetti collaterali sulla pelle causati da alcuni trattamenti chemioterapici. I meccanismi con cui il cannabidiolo agisce sul nostro corpo sono oggetto di numerosi e accurati studi. L’azione del CBD avviene nella cornice del sistema endocannabinoide, presente anche nella cute e coinvolto in numerosi processi biologici. CBD, derma e sistema endocannabinoide Il sistema endocannabinoide esercita molteplici funzioni di regolazione del nostro organismo. Questa complessa rete di enzimi, recettori e molecole che agiscono su essi, è presente anche nella cute. Sono molti gli studi che suggeriscono un coinvolgimento del sistema endocannabinoide nei processi biologici che riguardano il derma. Di conseguenza, il cannabidiolo (CBD) ha attirato un'attenzione significativa negli ultimi anni per il suo potenziale terapeutico per varie patologie cutanee, e per un suo impiego in ambito cosmetico. Negli anni si accumulano i casi riportati d’efficacia che suggeriscono come l'applicazione topica del CBD possa essere di grande utilità per alcuni disturbi della pelle, come l'eczema, la psoriasi, il prurito e alcune condizioni infiammatorie. Uno dei contesti in cui, più di recente, il cannabidiolo ha trovato ambito di applicazione, riguarda i problemi della pelle derivanti da un trattamento chemioterapico. Chemioterapia e salute della pelle Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono rendere la pelle secca e sensibile o provocare reazioni cutanee. In certi casi, infatti, le sostanze chemioterapiche utilizzate possono bloccare il turn over cellulare della pelle del viso. Alcune persone, vedono comparire un rossore, spesso associato a una sensazione di bruciore diffusa sul volto. I pazienti impegnati in un trattamento chemioterapico o radioterapico devono affrontare anche effetti collaterali come quelli che colpiscono la pelle del viso, portatori di ricadute ulteriori sulla propria quotidianità. Si tratta di un inconveniente per il quale la ricerca medica sta ricercando una soluzione che sia efficace e, al contempo, non intrusiva su chi sta già affrontando un percorso terapeutico impegnativo. Il cannabidiolo, sotto forma di olio o di pomata, potrebbe fornire ottimi risultati in questo senso. Le prime sperimentazioni stanno, infatti, già fornendo risultati più che soddisfacenti. Di recente, il cannabidiolo (CBD) è stato impiegato con ottimi risultati nel caso di un paziente di 52 anni, affetto da tumore in stadio avanzato e trattato con Folfox e Panitumumab. Il paziente, dopo avere intrapreso un ciclo di chemioterapia, ha manifestato una forte infiammazione alla pelle del viso, accompagnata da un intenso dolore. La sperimentazione è stata condotta presso il centro medico Micromédical di Barcellona, specializzato in servizi per malati di cancro. Il trattamento è stato coordinato da Nuria Sanchez, specialista in estetica oncologica e responsabile dell’Onchology Institute Aesthetic, che ci ha raccontato come si sta svolgendo il trattamento e quali possano essere le nuove frontiere di applicazione del CBD nell’ambito dermatologico e cosmetico. Che cosa l’ha spinta a specializzarsi nell’estetica oncologica? Per un periodo mi sono dedicata alla consulenza d'immagine. Ho avuto una cliente con un cancro al seno e attraverso lei ho capito la vulnerabilità che la malattia provoca e gli effetti collaterali dei trattamenti. Il cancro è una malattia che colpisce duramente a livello psicologico, a volte di piú che a livello cellulare. Quando una persona viene informata di essere stata colpita da un tumore, è il momento in cui tutto crolla e inizia una fase in cui è fondamentale avere un alto grado di amor proprio. L'estetica oncologica si occupa della cura della pelle, dei muscoli e della capacità di fare percepire noi stessi come prima di conoscere la malattia. É questo ciò che mi ha fatto decidere di fare questo lavoro. Ho pensato che attraverso questa professione avrei potevo aiutare tutte queste persone. Nuria Sanchez, specialista in estetica oncologica e responsabile dell’Onchology Institute Aesthetic Quali sono i danni a livello cutaneo più comuni causati delle terapie oncologiche e quali le problematiche che ne derivano? Sono molteplici. A livello cutaneo dobbiamo considerare il tipo di trattamento a cui ci si sottopone. Gli effetti collaterali cutanei della chemioterapia hanno una vasta gamma di manifestazioni e un grado di intensità che varia a seconda del farmaco e della dose utilizzata. Tra gli effetti collaterali possono manifestarsi: xerosi, secchezza estrema, prurito, desquamazione o arrossamento, alopecia, fotosensibilità. Inoltre possono comparire problemi alle unghie, come lo scolorimento o l’infiammazione del tessuto attorno alla lamina ungueale che può portare in alcune occasioni a un'infezione. L'immunoterapia è un trattamento che rinforza le difese naturali del corpo per combattere il cancro e tra le manifestazioni di tossicità più comuni troviamo la xerosi (con rischio di fessure e crepe dolorose), l’eruzione acneiforme, la mucosite, l’arrossamento della pelle, il prurito, il coinvolgimento delle unghie e le alterazioni nella crescita delle ciglia. La radioterapia è un trattamento locale che interessa solo la pelle dell'area trattata e gli effetti collaterali cutanei dipendono dal tipo di radiazione, dalla dose totale, dall'area anatomica da trattare e se ci troviamo di fronte a trattamenti concomitanti. Può provocare eritema, desquamazione secca o umida, perdita di elasticità, ulcerazione (nei casi gravi). L'insieme di tutti questi sintomi cutanei si chiama radiodermite. Infine, la terapia ormonale che, inibisce la sintesi degli ormoni bloccando il loro legame al corrispondente recettore sulla superficie delle cellule tumorali, insieme alla chemioterapia, è un altro dei trattamenti che invecchia di più a livello epidermico. Alcuni farmaci per la terapia ormonale inducono la menopausa provocando un improvviso deterioramento della carnagione e allo stesso tempo una pelle più sottile e secca e una perdita di compattezza ed elasticità. In questo contesto, i prodotti cosmetici da utilizzare devono essere morbidi, lenitivi e senza ingredienti irritanti come fragranze o profumi. Quanto un adeguato trattamento estetico può migliorare la qualità di vita di un paziente oncologico? La salute della pelle viene spesso trascurata nel corso delle terapie oncologiche. Se il derma è in perfette condizioni durante tutta la terapia (alla diagnosi, durante i trattamenti e dopo), i trattamenti farmacologici come la chemioterapia o la radioterapia non devono essere interrotti in qualsiasi momento (a causa di radiodermite o xerosi, per esempio.). Questo sarebbe il principale e più importante degli argomenti da considerare poiché la malattia non si ferma mai. Gli effetti collaterali della radiodermite possono anche portare allo sviluppo di fibrosi anche tre anni dopo che si è verificata a causa della tossicità tardiva. La cessazione del trattamento o gli effetti secondari derivati da esso colpirebbero il paziente, con l’aggravante di dovere interrompere i trattamenti per le tossicità derivate da un processo oncologico. Di fronte a una malattia come il cancro, la pelle deve prepararsi ad affrontare le terapie antitumorali nelle migliori condizioni. Quando ha iniziato ad utilizzare i prodotti al CBD nel trattamento della pelle dei pazienti? Mi piace essere aggiornata sui prodotti e sui principi attivi che possono aiutare a rigenerare e migliorare la pelle dei pazienti oncologici. Circa un anno e mezzo fa mi sono interessata all'olio di CBD e sul suo potenziale antiossidante e antinfiammatorio. Esistono studi clinici sul suo potenziale in dermatologia. I cannabinoidi hanno dimostrato proprietà antinfiammatorie, antipruriginose, antietà. Per questo motivo dopo aver conosciuto i prodotti al CBD dell’azienda Enecta ho contattato il professor Pere Gascón, medico esperto e dalla lunga esperienza in ambito oncologico, per cominciare una collaborazione e testare il CBD sugli effetti collaterali cutanei dei trattamenti oncologici. Come descrive lo studio che sta portando avanti sull’uso del CBD nel trattamento estetico di un suo paziente oncologico? Lo studio è iniziato nell'ottobre 2020, e riguarda un paziente di 52 anni con neoplasia colon-rettale, trattato con FOLFOX + Panitumumab (chemioterapia + terapia mirata), con sedute ogni 15 giorni. Tra gli effetti collaterali cutanei ha manifestato xerosi, desquamazione, rush, infiammazione, dolore. Abbiamo condotto lo studio presso il centro medico Micromédical specializzato in servizi per malati di cancro, con il suo fondatore, Montse López Novella, un'infermiera specializzata in chirurgia plastica e ricostruttiva. I trattamenti estetici al viso sono settimanali e consistono in una pulizia e nell'utilizzo di olio di cannabidiolo ENECTA (C 3000 CBD 10%), utilizzato a livello topico, e nell'applicazione di LED ( luce infrarossa ad effetto antinfiammatorio, che permette ai principi attivi di penetrare più facilmente e rigenera i tessuti). A volte e secondo le condizioni della pelle, introduciamo un diverso ingrediente attivo complementare come il burro di karitè o l'acido ialuronico. Quali sviluppi avrà questo primo studio? Che risultati sta raccogliendo per ora? La pelle è fondamentalmente idratata e nutrita grazie alla crema di karitè e all’olio di CBD. Quando eseguiamo il trattamento in cabina aggiungiamo qualche altro principio attivo. La pelle del paziente si è stabilizzata nonostante continui a sottoporsi a sessioni bisettimanali di chemioterapia. Gli sfoghi cutanei non sono gravi come al principio, anche se la pelle continua a sfaldarsi e di conseguenza l'idratazione e il monitoraggio devono essere continui. Ma la secchezza non è come prima. In questo momento stiamo trattando un rush che è apparso in tutto il tronco, il petto e la schiena. Il caso è supervisionato da un medico, il Professor Pere Gascón, e il paziente viene seguito dal suo dermatologo quando lo ritiene opportuno, prescrivendo anche una crema antibiotica quando necessario (in alcuni casi di lesioni dovute alla chemioterapia). Il risultato finora ottenuto dal trattamento con l'olio di CBD e l'applicazione di LED, è una evidente stabilizzazione della pelle del viso. Si tratta di un miglioramento della sua qualità di vita di cui il paziente stesso ci ha dato testimonianza. Il professor Pere Gascón è direttore del Laboratorio di oncologia molecolare e traslazionale e direttore della cattedra di oncologia e conoscenza multidisciplinare dell'Università di Barcellona. È specialista in medicina interna, ematologia e oncologia medica. L’uso del cannabidiolo è ritenuto promettente sia nell’ambito dell’estetica oncologica che in molti altri settori. Ha seguito di persona il caso di studio presentato e ha raccontato quelli che potrebbero essere i futuri sviluppi. Perché usare il cannabidiolo nel contesto dell'estetica oncologica? A che risultati ha portato il trattamento oggetto del caso di studio? Per me, è stato facile e direi normale accettare di supervisionare l'uso di olio di cannabinoidi in pazienti con cancro che presentano effetti collaterali cutanei. Nei miei anni di lavoro negli Stati Uniti molti dei miei pazienti hanno usato cannabis prima della chemioterapia per prevenire la nausea e il vomito. Questa pratica è continuata con i miei pazienti in Spagna, in particolare nelle donne affette da cancro. Quando Nuria Sanchez mi ha spiegato il suo progetto, sono stato felice. Pere Gascón è direttore del Laboratorio di oncologia molecolare e traslazionale e direttore della cattedra di oncologia e conoscenza multidisciplinare dell'Università di Barcellona Sapevo di alcune pubblicazioni in letteratura che parlavano dell’uso del cannabidiolo in dermatologia: psoriasi, dermatiti, dolori cutanei. Avevo anche una certa familiarità con le sue proprietà antiproliferative, i suoi effetti antinfiammatori, antiprurito e anti-invecchiamento. Quindi, era abbastanza naturale trattare con il cannabidiolo i pazienti affetti da cancro con problemi di pelle come l'acne secondaria indotta dagli anticorpi monoclonali, contro l'EGFR (anti-recettore del fattore di crescita epidermico). Lo studio mostra miglioramenti nella salute della pelle del viso. In che modo il cannabidiolo ha contribuito a questo miglioramento? Ci aspettavamo buoni risultati, in linea con la letteratura scientifica. Inizialmente, Nuria Sanchez ha usato solo l'olio di cannabidiolo con ottimi risultati. In seguito, lo ha combinato con luce infrarossa, crema di karité e/o acido ialuronico con risultati notevoli. In particolare, la tossicità cutanea simile all'acne indotta dagli ant-EGFR (Cetuximab, Panitumumab) è migliorata notevolmente con l'olio di cannabidiolo. C'è un altro fattore biologico rilevante, i cannabinoidi agiscono attraverso recettori specifici nella pelle legando i recettori endocannabinoidi: il 2-AG e l'AEA tra gli altri. Le sostanze contenute nella cannabis, in particolare CBD e THC, sono sempre più utilizzate in ambito medico. Nel caso dei malati di cancro, quali sono le aree di applicazione della cannabis? Una volta approvati dalle agenzie di regolamentazione, il CBD e il THC vengono usati per trattare/prevenire la nausea o il vomito indotti dalla chemioterapia. Questi due principi attivi della pianta di cannabis sono stati usati anche per trattare l'acne secondaria ai trattamenti anti-EGFR. Inoltre sono stati usati per trattare l'ansia. Per quanto riguarda l'uso dei cannabinoidi per il trattamento del dolore cronico, non ci sono prove conclusive e il loro uso non è incorporato in nessun consenso sul trattamento anti-dolore. Detto questo, perché è usato e apparentemente utile per questa situazione clinica cronica? La spiegazione più probabile è perché il cannabinoide modifichi lo stato mentale del paziente. Si sa che i recettori CB1 partecipano alla risposta analgesica e si sa che l'attivazione di questi recettori cerebrali crea gli effetti di piacere, rilassamento e ansietà della droga. I cannabinoidi hanno dimostrato buoni risultati contro la spasticità dei pazienti con sclerosi multipla. Migliorano anche le alterazioni del sonno, in particolare nei pazienti con dolore cronico e con sclerosi multipla, fibromialgia, e con alterazioni di ansia Negli ultimi 15 anni, il tetraidrocannabinolo (THC) è stato utilizzato nella ricerca, in modelli animali di cancro al cervello, in particolare nei topi con ottimi risultati. Purtroppo, la maggior parte delle prove a favore della sua efficacia derivano dagli studi su questi da modelli animali. La combinazione di CBD e THC ha mostrato una marcata riduzione della crescita tumorale: glioma, melanoma, seno, pancreas, fegato e prostata. È interessante notare che una ricercatrice spagnola, la dottoressa Cristina Sánchez, utilizzando una preparazione ottenuta dall'intera pianta, ha ottenuto migliori effetti antitumorali nel cancro al seno rispetto agli estratti puri di THC. L'unico test clinico randomizzato negli esseri umani ha ben utilizzato un medicinale a base di cannabis per un tumore incurabile al cervello, il glioblastoma multiforme. La sopravvivenza a un anno è stata dell'83% per il gruppo a cui era stato somministrato il cannabinoide, contro il 53% di chi aveva assunto il placebo. La sopravvivenza complessiva del gruppo di pazienti trattati con cannabinoidi è stata di 550 giorni, mentre quella del gruppo trattato con placebo è stata di soli 369 giorni. Infine, una nuova sperimentazione clinica sugli esseri umani per il glioblastoma multiforme è in corso in Australia per trattare i pazienti con questo tipo di cancro. Sarà di grande interesse se questo secondo test clinico potrà confermare i risultati del primo. Autore: Redazione Cannabeta
La cosiddetta ‘cannabis light’, o canapa industriale, è coltivata legalmente in Italia ai sensi della Legge 242 del 2016, che ne permette appunto produzione e vendita se il contenuto di THC è sotto una certa soglia stabilita tra 0,2 e 0,6%. Viene utilizzata in Italia soprattutto nell’industria tessile, ma sono presenti anche altri principi attivi, quali ad esempio il cannabidiolo o CBD [1] , che hanno dimostrato, a seguito di studi scientifici, benefici per la salute, e vengono utilizzati notoriamente per migliorare il benessere fisico e mentale. In particolare gli ultimi anni hanno visto un rinnovato interesse per il CBD, soprattutto grazie alla scoperta della sua attività antiossidante, antinfiammatoria e neuroprotettiva. La vasta gamma dei suoi effetti sull'organismo è ampiamente documentata [2] e le prove della sua efficacia sono sostanzialmente variabili nelle diverse indicazioni [3], con dati ottenuti relativi a dolore cronico [4], disturbi dell’umore [5], disturbi neurodegenerativi [6] e come anticonvulsivante nel trattamento dell'epilessia [7]. Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato un effetto ansiolitico del CBD [8], mentre gli effetti riportati sui disturbi del sonno sembrano incoraggianti [9] indicando un ruolo del composto nel ciclo sonno-veglia. È per questo motivo, che Cannabeta ha deciso di commissionare alla società MinervaTop, uno studio volto proprio a comprendere la conoscenza e l’utilizzo, da parte degli italiani del CBD, ed in particolare degli oli (o altri estratti) a base di CBD. MinervaTop è una società appartenente ad Elita srl, con sede a Udine. MinervaTop è un team composto di matematici e statistici che applica le tecniche della statistica inferenziale a ricerche di mercato, sondaggi politici e indagini di opinione. Dai risultati emersi dall’indagine, circa due terzi degli Italiani ha sentito parlare del cannabidiolo (62%). L’argomento ‘CBD’ è quindi largamente presente nel dibattito pubblico. A questo dato, si aggiunge quello relativo all’utilizzo di oli o estratti a base di CBD. Il 6% degli Italiani li utilizza regolarmente, mentre il 18% dichiara di usarli saltuariamente. Dati molto simili a quelli riscontrati in una recente indagine condotta negli Stati Uniti (33% di utilizzatori) [11]. L’indagine, pubblicata anche sull'inserto Salute del quotidiano la Repubblica, è la prima ad essere stata eseguita nel nostro paese su questo tema, ed è stata svolta su un campione di 453 adulti rispondenti, rappresentativo della popolazione italiana [10]. Sono percentuali molto elevate, che testimoniano di un fenomeno, quello del consumo di cannabidiolo, molto diffuso, all’estero e nel nostro paese. Particolarmente rilevante è anche la percentuale (il 30%) di coloro i quali non hanno ancora utilizzato oli o estratti al CBD, ma che potrebbero farlo in futuro. In sintesi, i consumatori di CBD sono adulti (soltanto il 4% dei rispondenti che usano CBD frequentemente ha un’età compresa tra 18 e 24 anni, meno del 15% per i consumatori saltuari) e la quasi totalità svolge attività fisica. Tra coloro i quali potrebbe consumarlo in futuro, la maggior parte è in età avanzata (sopra i 55 anni) e guarda al CBD come un potenziale supporto per combattere i dolori che affiorano nella vecchiaia. È importante anche sottolineare che tra coloro i quali non consumano ancora prodotti a base di CBD soltanto il 14% teme che siano illegali. Il 36% è frenato in particolare dal fatto che i prodotti a base di CBD, non sono facilmente reperibili, anche e soprattutto a causa di un quadro legislativo sulla vendita poco chiaro. Inoltre, oli ed estratti spesso hanno prezzi elevati (per il 19%) e questo li rende inaccessibili considerando anche che quasi la metà di coloro i quali ancora non consumano CBD risultano essere pensionati, o persone in cerca di occupazione con redditi medio bassi. Infine, un italiano su dieci che ancora non consuma CBD, dichiara di non farlo perché non ha informazioni chiare su come i prodotti vanno somministrati. Tra coloro i quali usano frequentemente o dichiarano di usarli saltuariamente oli o estratti al CBD, la maggior parte lo associano al rilassamento (il 68% per i consumatori abituali, 55.4% per quelli saltuari), per combattere l’ansia, o lo stress (52% e 53% rispettivamente) ed i disturbi del sonno (40% e 41% rispettivamente). I consumatori appartengono prevalentemente alla fascia d’età 35-54 anni. Quasi la totalità dei consumatori abituali svolge attività fisica regolarmente. Se andiamo invece ad analizzare le risposte di coloro i quali non utilizzano ancora oli o estratti al CBD ma potrebbero farlo in futuro, è interessante constatare che circa il 40% appartiene alla fascia d’età 55 anni ed oltre. Sono prevalentemente donne (56.8%) che associano il CBD prevalentemente (41%) all’alleviamento dei dolori cronici. In conclusione, l’indagine ci consegna la fotografia di un paese informato sull’argomento CBD. Gli italiani considerano i prodotti quali oli o estratti a base di CBD utili nella vita quotidiana, per il benessere e la salute, fisica e mentale, ed in particolare per combattere stress, ansia, e dolore cronico [12]. Il fatto che questi ambiti terapeutici siano anche quelli per i quali esiste una solida evidenza empirica a dimostrazione degli effetti benefici del CBD, conferma la consapevolezza degli italiani sul tema cannabis. L’idea quindi di classificare il CBD come sostanza stupefacente, come previsto dal Decreto del Ministero della Salute che aggiorna la tabella del Testo Unico sugli Stupefacenti, dell’Ottobre 2020 poi, fortunatamente sospeso, contrasta nettamente con l’opinione (e la conoscenza) che hanno gli italiani di questi prodotti, e con le loro necessità, in larga parte legate a bisogni fisici e mentali e non ricreativi. Le istituzioni ed i media dovrebbero quindi focalizzare maggiormente la loro attenzione sul regolare tali prodotti e la loro vendita, stabilire standard di qualità per la coltivazione e produzioni di oli ed estratti per dare un accesso sicuro, informato a prezzi accessibili ai cittadini che già oggi, in gran numero, li richiedono e li utilizzano. Gli Italiani e il CBD: la prima indagine sull’utilizzo del CBD nel nostro paese Intervista al Senatore Mantero sui risultati dell’Indagine Sen. Mantero, qual è stata la sua prima reazione alla lettura dei risultati dell’indagine? Cosa le ha colpito maggiormente? I risultati dello studio sono molto interessanti e dimostrano come le infiorescenze della cosiddetta ‘cannabis light’, o canapa industriale, ed i prodotti da esse derivati, contenenti CBD, siano percepiti dai cittadini in maniera positiva. A differenza della politica che ha strumentalizzato la questione della commercializzazione di questi prodotti, assimilandoli alla droga, i cittadini dimostrano di non avere particolari pregiudizi e considerino anzi il CBD come una sostanza utile utili nella vita quotidiana, per il benessere e la salute, fisica e mentale. Un ruolo importante nell’abbattere il pregiudizio nei confronti di questa pianta lo hanno avuto e continuano ad averlo sicuramente i tanti shops che sono stati aperti dopo l’approvazione della Legge 262 del 2016 (che regola la coltivazione di varietà di cannabis che contengono percentuali insignificanti di THC, la sostanza per l’appunto drogante) nel nostro paese, e che hanno permesso ai cittadini di conoscere il CBD e le sue proprietà terapeutiche in particolare per combattere stress, ansia, e dolore cronico ed accedere ai prodotti a base di CBD in un ambiente sicuro, informato, ben lontano dall’immagine di un luogo dove si vende ‘droga’. Non è un caso che l’ex Ministro Salvini si sia scagliato proprio contro gli shops, perché sono visibili e accessibili e contribuiscono ad abbattere i pregiudizi. Il dibattitto pubblico sul CBD è tutto incentrato sul tema ‘droga si, droga no’, nonostante sia coltivato legalmente e utilizzato per motivi principalmente terapeutici. Questo è probabilmente dovuto alle ambiguità contenute nella legge stessa, dalle quali scaturiscono interpretazioni spesso contraddittorie. Lei è molto impegnato in Senato sul fronte della regolamentazione della produzione e commercializzazione del CBD. Ci può dire quali interventi legislativi sono in preparazione per permettere ai cittadini di accedere ai prodotti a base di CBD in modo sicuro? Il pregiudizio e la strumentalizzazione politica nei confronti della cosiddetta ‘cannabis light’, o canapa industriale, e dei suoi derivati influenzano anche negativamente le discussioni in parlamento sul tema, impedendo l’approvazione di emendamenti alla stessa legge 262 del 2016, volti a superarne le ambiguità proprio riguardo la vendita dei prodotti a base di CBD. La legge nasce infatti un po’ zoppa perché se è vero che ha aperto alla possibilità di coltivare legalmente le varietà di cannabis contenenti percentuali insignificanti di THC, non esplicita chiaramente la possibilità di vendita delle infiorescenze e dei componenti da esse estratti, in particolar modo il CBD. Molti produttori hanno dato per scontata la liceità della vendita, ed hanno quindi iniziato a commercializzare prodotti a base di CBD. Tra l’altro le prime sentenze della Corte di Cassazione avevano dato ragione a tale interpretazione. Ma la recente sentenza a sezioni riunite ha detto, in maniera molto chiara, che la legge non è completa e così com’è, genera un contrasto con il Testo Unico sugli Stupefacenti che considera le infiorescenze e gli estratti della cannabis (a prescindere dal limite di THC) come stupefacenti. La Cassazione ha quindi richiesto al legislatore di chiarire gli aspetti legati alla vendita. Quello che ho cercato di fare presentando alcuni emendamenti alla precedente legge di stabilità. Emendamenti che purtroppo sono stati dichiarati, in modo assolutamente parziale, inammissibili dalla Presidente del Senato Casellati, dopo la levata di scudi da parte delle opposizioni. Nel frattempo, abbiamo lavorato di concerto con il Ministero dell’Agricoltura al fine di inserire le infiorescenze della canapa nell’elenco delle piante officinali, per garantire almeno la liceità dell’estrazione del CBD. Abbiamo inoltre presentato altri emendamenti, nel decreto Agosto, per colmare il vulnus della legge 262 e normare la vendita al fine di avere maggior controllo sui prodotti commercializzati, ad esempio stabilendo i limiti di metalli pesanti, la tracciabilità, l’indicazione chiara della genetica, la varietà, la modalità di produzione, e tutelando così la salute del consumatore. Ci sono spinte per classificare il CBD come medicinale, per il trattamento di condizioni mediche gravi, quali epilessia, sclerosi, o in oncologia. Dai risultati dell’indagine, però, emerge la realtà di un utilizzo diffuso, da parte, degli italiani, dei prodotti al CBD principalmente per il benessere fisico e mentale, ad esempio per contrastare stress, ansia, insonnia, o dolori. Come pensa si possa evolvere la discussione sulla regolarizzazione dei prodotti a base di CBD? Oggi la scienza ha dimostrato gli effetti positivi dei vari componenti della cannabis, il THC, CBD, i terpeni, su un numero molto importante di patologie, alcune leggere, altre più gravi. I consumatori, come sottolinea anche l’indagine, ricercano il CBD per mitigare in particolare ansia, stress, insonnia. Ed è essenziale quindi, da un lato garantire la qualità dei prodotti e la salute dei cittadini, dall’altra fare in modo che la cannabis e i prodotti da essa derivati, in particolare il CBD utilizzato principalmente per il benessere fisico e mentale, restino ‘democratici’. La cannabis, è bene ricordarlo, è una delle piante medicinali più antiche usate dall’uomo. Ci sono testimonianze dell’utilizzo della stessa che risalgono a migliaia di anni prima di Cristo. Non solo, la cannabis ha fornito fibre per coprire le persone e conservare prodotti e materiali, olio per bruciare lampade, mangime per animali. Una risorsa, per l’appunto democratica, perché accessibile a tutti. Ma è stato proprio il suo carattere democratico, e l’impossibilità quindi di brevettarla, a decretarne la sua condanna. Nel secolo scorso, infatti, industriali come Hearst o Dupont che brevettavano la carta da legna e il nylon con fibre sintetiche, avviarono una vera a propria guerra contro la cannabis, creando anche l’immagine ed il nome ‘Marijuana’, stigmatizzandola come sostanza stupefacente dagli effetti negativi sull’uomo. Una campagna denigratoria che è riuscita nel suo intento, condannando la cannabis per decenni come sostanza illegale. E’ fondamentale quindi oggi preservare la ritrovata ‘democraticità’ della cannabis, con particolare riferimento al CBD, dagli interessi delle grandi corporate. E’ giusto e corretto che per patologie più gravi ci siano controlli maggiori ed i prodotti utilizzati necessitino di autorizzazioni per immissioni al commercio come farmaci. Ma al tempo stesso, bisogna far sì che la più parte dei prodotti a base di CBD siano facilmente accessibili, come integratori. Si potrebbe pensare ad una differenziazione nella categorizzazione dei prodotti in base al contenuto di CBD o all’indirizzo terapeutico (sopra una certa soglia di CBD o per alcune patologie il prodotto è un farmaco, sotto la soglia o per altre patologie, diventa integratore). Ci sono diverse strade che possono essere percorse, ma l’importante è garantire la tutela della salute dei consumatori e la democraticità della pianta e l’accesso ai suoi benefici per tutti. Fonti: Il Cannabidiolo (CBD), è un principio attivo NON psicoattivo contenuto nella Cannabis Sativa. II CBD non mostra effetti indicativi di alcun rischio potenziale di abuso o dipendenza. E' generalmente ben tollerato e con un buon profilo di sicurezza. Viene commercializzato solitamente in forma di oli, integratori, gomme e estratti ad alta concentrazione. L'organizzazione mondiale della sanità (OMS), a partire dal 2017, classifica il CBD come sostanza NON stupefacente, e adatta all'uso medico. In diversi studi clinici il CBD è stato dimostrato come un efficace trattamento, ad esempio, dell'epilessia. Bergamaschi MM, Queiroz RH, Zuardi AW, Crippa JA. Safety and side effects of cannabidiol, a Cannabis sativa constituent. Curr Drug Saf. 2011;6(4):237-249. Pisanti S, Malfitano AM, Ciaglia E, et al. Cannabidiol: State of the art and new challenges for therapeutic applications. Pharmacol Ther. 2017;175:133-150. Costa B, Trovato AE, Comelli F, Giagnoni G, Colleoni M. The non-psychoactive cannabis constituent cannabidiol is an orally effective therapeutic agent in rat chronic inflammatory and neuropathic pain. Eur J Pharmacol. 2007;556(1-3):75-83. Petzke F, Enax-Krumova EK, Häuser W. Wirksamkeit, [Efficacy, tolerability and safety of cannabinoids for chronic neuropathic pain: A systematic review of randomized controlled studies]. Schmerz. 2016;30(1):62-88. Belardo C, Iannotta M, Boccella S, et al. Oral Cannabidiol Prevents Allodynia and Neurological Dysfunctions in a Mouse Model of Mild Traumatic Brain Injury. Front Pharmacol. 2019;10:352. Published 2019 Apr 16. Crippa JA, Guimarães FS, Campos AC, Zuardi AW. Translational Investigation of the Therapeutic Potential of Cannabidiol (CBD): Toward a New Age. Front Immunol. 2018;9:2009. Published 2018 Sep 21.Shbiro L, Hen-Shoval D, Hazut N, et al. Effects of cannabidiol in males and females in two different rat models of depression. Physiol Behav. 2019;201:59-63 Mannucci C, Navarra M, Calapai F, et al. Neurological Aspects of Medical Use of Cannabidiol. CNS Neurol Disord Drug Targets. 2017;16(5):541-553. Lattanzi S, Brigo F, Trinka E, et al. Efficacy and Safety of Cannabidiol in Epilepsy: A Systematic Review and Meta-Analysis. Drugs. 2018;78(17):1791-1804. Calapai G, Mannucci C, Chinou I, et al. Preclinical and Clinical Evidence Supporting Use of Cannabidiol in Psychiatry. Evid Based Complement Alternat Med. 2019;2019:2509129. Babson KA, Sottile J, Morabito D. Cannabis, Cannabinoids, and Sleep: a Review of the Literature. Curr Psychiatry Rep. 2017;19(4):23. I rispondenti sono stati selezionati in maniera casuale con quote per genere ed età, bilanciati geograficamente. La selezione è avvenuta attraverso metodo CAWI, con sponsorizzazioni su Facebook, Instagram, Twitter e Google Ads. Il margine di errore è del 4,6% per un intervallo di confidenza del 95%. https://www.singlecare.com/blog/cbd-survey/ Risultati non dissimili si sono riscontrati in indagini condotte negli USA (vedi https://news.gallup.com/poll/263147/americans-say-cbd-products.aspx). Autore: Redazione Cannabeta
Nel corso degli ultimi anni, grazie alla pubblicazione di un numero considerevole di studi che hanno dimostrato come il Cannabidiolo (CBD), il cannabinoide non psicotropo della Cannabis, possa potenzialmente svolgere un ruolo per il trattamento di molte patologie, è aumentato sempre più il numero di consumatori che assumono CBD in concomitanza con i più svariati tipi di farmaci. Da qui l’esigenza quindi di fare luce su quello che attualmente si può affermare con fondamento scientifico in merito all’interazione del CBD con i farmaci presenti in commercio. L’evidenza preclinica Al momento è noto che l’interazione del CBD con altri farmaci è legata al suo metabolismo epatico da parte degli enzimi della famiglia CytP450 (implicata nel metabolismo di tanti altri farmaci) e al fatto che si sia dimostrato essere un inibitore di alcuni degli enzimi di tale famiglia (per esempio CYP1A2, CYP2B6, CYP2C9, CYP2D6 and CYP3A4) [1,2]. Di conseguenza, in termini di interazione con altri farmaci, al momento si potrebbero verificare le seguenti condizioni: Aumento dell’effetto del CBD in concomitanza con l’assunzione di farmaci che inibiscono il CytP450 e che pertanto rallentano il metabolismo del CBD. Tra questi è bene ricordare i farmaci antivirali, antimicotici, l’amiodarone (antiaritmico), calcio antagonisti (antipertensivi), l’isoniazide (antitubercolare) e gli antibiotici macrolidi come claritromicina ed eritromicina). Diminuzione degli effetti del CBD in concomitanza con l’assunzione di farmaci che inducono il CytP450 e che quindi aumentano il metabolismo del CBD (tra questi alcuni antibiotici come rifampicina e rifabutina e molti antiepilettici come carbamazepina, fenobarbitale, fenitoina e primidone; effetti analoghi si potrebbero avere anche per il troglitiazone che è un antidiabetico e per l’iperico che è un antidepressivo). Aumento dell’effetto dei farmaci che vengono metabolizzati dagli isoenzimi della famiglia dei CytP450, che vengono inibiti dal CBD, come per esempio omeprazolo (gastroprotettore), risperidone (antipsicotico), warfarin (anticoagulante) e diclofenac (antifiammatorio), solo per citarne alcuni. Questi sono i potenziali effetti legati all’interazione del CBD con gli altri farmaci, dedotti esclusivamente da quanto fino a ora si conosce sulla sua farmacocinetica e su quella degli altri farmaci. Si tratta di potenziali effetti da confermare nella pratica clinica e da approfondire in termini di dosaggi e di entità. L’evidenza clinica Al momento le evidenze maggiori riguardano l’interazione con farmaci antiepilettici, essendo l’epilessia (in particolare quella farmaco resistente) la patologia per la quale gli studi sono stati più approfonditi, con la recente entrata in commercio dell’Epidiolex; un farmaco a base di CBD per il trattamento di queste rare forme di epilessia. In tale contesto alcuni studi volti a valutare l’efficacia e la sicurezza del CBD [3,4], hanno evidenziato come la contemporanea assunzione con altri farmaci antiepilettici comporti un’aumentata concentrazione di rufinamide, topiramato, zonisamide, eslicarbazepina e di un metabolita del clobazam (N-desmetilclobazam), il quale ha, tra le possibili conseguenze, un maggiore effetto sedativo. Un altro dato significativo che è emerso da questi studi riguarda l’aumento degli indici di funzionalità epatica come ALT e AST nel caso di contemporanea assunzione con valproato [3]. Conclusioni Sempre nella pratica clinica è importante sottolineare come un recente case report [5], abbia dimostrato come la contemporanea assunzione del CBD (con dosaggio di partenza di 5/mg/kg/day) con il warfarin (l’anticoagulante maggiormente utilizzato al mondo) alteri in maniera non lineare l’andamento dell’INR (valore che esprime il nostro stato coagulativo), con potenziali effetti collaterali rilevanti da un punto di vista clinico, come possibili sanguinamenti (correlati ad un aumento dell’INR). Questo effetto viene, in genere, collegato alla capacità del CBD di inibire l’isoenzima CYP2C9, responsabile del metabolismo dell’isomero più attivo del warfarin. Per il momento si può affermare con ragionevole certezza che il CBD possa interferire con il metabolismo di numerosi farmaci; rimane tuttavia da capire con quali di essi e a che dosaggi. Interazione certa nella pratica clinica è stata dimostrata con alcuni farmaci antiepilettici (clobazam e valproato) e con il farmaco anticoagulante maggiormente utilizzato al mondo (warfarin). Il suo utilizzo dovrebbe quindi avvenire sempre sotto sorveglianza medica, specie in caso di contemporanea assunzione delle sostanze sopra segnalate (in tal caso, risulta indispensabile provvedere a uno stretto monitoraggio clinico e laboratoristico). Bibliografia [1] Yamaori, S., Ebisawa, J., Okushima, Y., Yamamoto, I.,Watanabe, K. Potent inhibition of human cytochrome P450 3A isoforms by cannabidiol: Role of phenolic hydroxyl groups in the resorcinol moiety. Life Sci. 2011, 88, 730–736. [2] Yamaori, S., Okamoto, Y., Yamamoto, I., Watanabe, K. Cannabidiol, a major phytocannabinoid, as a potent atypical inhibitor for CYP2D6. Drug Metab. Dispos. 2011, 39, 2049–20563-Interactions between cannabidiol and commonly used antiepileptic drugs Tyler E. Gaston , E. Martina Bebin, Gary R. Cutter, Yuliang Liu, and Jerzy P. Szaflarski for the UAB CBD Program Epilepsia, 58 (9):1586–1592, 2017. [3] Tyler E. Gaston E. Martina Bebin, Gary R. Cutter, Yuliang Liu, and Jerzy P. Szaflarski for the UAB CBD Program; Interactions between cannabidiol and commonly used antiepileptic drugs; Epilepsia, 58(9):1586–1592, 2017. [4] Orrin Devinsky, MD, Anup D. Patel, MD, Elizabeth A. Thiele, MD, Matthew H. Wong, MD, Richard Appleton, MD, Cynthia L. Harden, MD, Sam Greenwood, PhD, Gilmour Morrison, Kenneth Sommerville, MD, and On behalf of the GWPCARE1 Part A Study Group; Randomized, dose-ranging safety trial of cannabidiol in Dravet syndrome; Neurology 2018 Apr 3; 90(14): e1204–e1211. [5] Leslie Grayson, Brannon Vines, Kate Nichol, Jerzy P.Szaflarski, for the UAB CBD program; An interaction between warfarin and cannabidiol, a case report; Epilepsy & Behavior Case Reports 9 (2018) 10-11. Autore: Dott. Francesco Buia Medico Chirurgo
Canapa: cos’è e quali sono le sue proprietà La canapa, il cui nome scientifico è Cannabis sativa, è una pianta angiosperma appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. Quando si parla di Cannabis, ci si riferisce alla pianta nel suo insieme: stelo, radici, foglie, fiori. Il botanico statunitense Richard Evans Schultes, considerato padre della moderna etnobotanica, ne contraddistingueva tre varietà, differenti tra loro per clima, altitudine e tipologia del suolo in cui crescono: la Cannabis Sativa, la Cannabis Indica, la Cannabis Ruderalis. Le proprietà della canapa sono numerose, grazie alle sostanze attive naturalmente presenti nel fitocomplesso della pianta. Le sostanze attive agiscono tramite l’attivazione e la modulazione del sistema endocannabinoide, di cui l’organismo umano è dotato e grazie al quale produce cannabinoidi endogeni. Questi, come quelli esogeni, modulano e regolano l’omeostasi dell’organismo, con effetti su umore, memoria, funzioni cognitive, dolore e infiammazione. Tra i vari impieghi della pianta c’è il trattamento del dolore cronico. Un’altra indicazione terapeutica è rappresentata da nausea e vomito associati alla chemioterapia e alle terapie antivirali per l’infezione da HIV. La Cannabis è anche utilizzata per stimolare l’appetito nelle persone con anoressia nervosa, forme tumorali e AIDS. L’assunzione della Cannabis, inoltre, inibisce l’attivazione dei neuroni coinvolti nella sindrome di Tourette, patologia neurologica caratterizzata da spasticità e comportamenti ossessivo-compulsivi. La Cannabis è indicata anche nel trattamento dell’epilessia. Canapa a norma di legge, cosa dicono Italia e UE In Italia il mercato è composto maggiormente da produttori di fiori (cannabis light). Il settore fatica a solidificarsi per via di incertezze normative e dell’assenza di disciplinari sulla coltivazione. Lo stesso vale per il mercato dell’estrazione, ove ci sono aziende che spesso operano senza le necessarie certificazioni. Confagricoltura, insieme a Federcanapa ed Enecta, sta promuovendo diversi tavoli di lavoro per delineare linee guida da poter essere messe a disposizione degli agricoltori per una corretta gestione delle coltivazioni e dei prodotti ricavabili (fibra, canapulo, infiorescenze, biomassa), nel rispetto di standard qualitativi e di sicurezza da applicare in ogni step della produzione, dalla semina all’estrazione dei principi attivi. La Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, pur rappresentando un notevole passo in avanti, risulta incompleta e necessita di ulteriori revisioni per definire dettagliatamente i criteri e le proprietà legate alla filiera della canapa e ai diversi prodotti ricavabili - dal settore tessile a quello cosmetico e nutraceutico). In ogni caso, la legge 242/2016 consente la coltivazione di sole varietà con tenore di THC inferiore o uguale allo 0,2% (con tolleranza fino a 0,6%), iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE. Negli Stati Uniti il valore limite è di 0,3% - il valore europeo di 0,2%, di fatto, penalizza fortemente l’Europa nel mercato internazionale e limita nella creazione e possibilità di utilizzo di varietà più performanti e utili agli scopi. A livello europeo, in data 2 dicembre 2020 la Commissione per gli stupefacenti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) ha votato favorevolmente per riclassificare i prodotti derivanti dalla Cannabis come sostanze non stupefacenti. La decisione da parte della Commissione potrebbe aprire la strada ad un’espansione della ricerca sull’uso terapeutico ma, in ogni caso, i governi hanno ancora giurisdizione su come classificare la Cannabis. La coltivazione e il modello Enecta La coltivazione ha inizio con la preparazione del terreno, per creare l’habitat ideale per la pianta e per verificare, tramite analisi preventive, l’assenza di metalli, pesticidi e contaminanti che potrebbero diminuire la qualità del prodotto. Successivamente, si passa alla semina: il periodo di semina può cambiare a seconda delle condizioni climatiche o che si coltivi outdoor o indoor. In generale, in Italia, l’epoca adatta alla semina è circa marzo (centro-sud) o aprile (centro-nord), con limite massimo maggio. Se si ritarda troppo, le temperature si alzano eccessivamente, le precipitazioni calano e quindi la pianta soffrirebbe. In generale, la stagione della semina è la primavera, quando c’è maggiore intensità di luce solare. Con il passaggio successivo all’estate l’esposizione alla luce diurna diminuisce, permettendo alle piante di entrare nella fase di fioritura (fotoperiodo della pianta), estendersi verso l’alto e massimizzare la produzione di metaboliti secondari (come i cannabinoidi). Tutto il sistema produttivo, dalla preparazione del terreno alla semina, alla gestione della coltivazione in campo alle fasi di prima lavorazione, come anche lo stoccaggio, segue le ‘Guidelines on Good Agricultural and Collection Practices’ (GACP, buone pratiche agricole e di raccolta delle materie prime di origine vegetale, più precisamente di piante medicinali / sostanze erboristiche utilizzate per scopi medicinali). Tutte le fasi vengono analizzate e studiate per garantire l’assenza completa di contaminazioni ed ottenere una materia prima qualitativamente idonea e sicura. Le coltivazioni Enecta sono sparse tra l’Abruzzo e la zona del Vicentino. La Cannabis Sativa L. è la materia prima da cui nascono tutti i prodotti della gamma Enecta. In Abruzzo, a Castelvecchio Subequo (AQ), l’azienda agricola partner di Enecta per la coltivazione, Green Valley, ha a disposizione sei ettari di campo, dediti alla coltivazione di infiorescenza. Qui il prodotto si raccoglie manualmente. A Vicenza, dove i campi si estendono per circa sessanta ettari, dediti alla produzione di biomassa per estrazione, la raccolta avviene attraverso macchine automatizzate costruite per raccogliere solo la parte apicale della pianta, dove è presente il più alto contenuto di Cannabidiolo (CBD). La differenza nella tecnica di raccolta dipende proprio dalla tipologia di prodotto. Dopo essere state raccolte, le piante vengono sottoposte ad essiccazione. Per le infiorescenze l’essiccazione avviene in ambienti monitorati, dove è necessario mantenere il buio e controllare parametri come temperatura ed umidità, oltre che assicurare la ventilazione, che non deve mai essere diretta sulle piante. Per la biomassa, al contrario, è possibile utilizzare i forni di essiccazione solitamente utilizzati per il tabacco. Anche in questo caso la fase di essiccamento è monitorata attraverso il controllo di parametri operativi quali temperatura e tempo di essiccazione, circolazione dell’aria e umidità relativa. In seguito alla fase di essiccazione, le piante subiscono una prima-lavorazione che cambia in base al prodotto finale desiderato. Nel caso delle infiorescenze, la lavorazione consiste nel trimming manuale e/o meccanismo del fiore; nel caso della biomassa, invece, è necessaria una separazione e triturazione del materiale che a fine del processo di manipolazione avrà una granulometria di circa 1,5 mm, adatta per la fase di estrazione. In entrambi i casi è fondamentale separare corpi estranei, materiali non utili allo scopo (es. steli, ramoscelli e semi) e ottenere un prodotto finito che rispetti tutti gli standard di qualità e sicurezza prefissati, confezionato e stoccato adeguatamente. La fase di estrazione chimica, seconda lavorazione a cui è soggetta la biomassa, consiste nella separazione dei componenti d’interesse, cannabinoidi e terpeni, dalla matrice solida vegetale. Il processo di estrazione e la fabbricazione dei prodotti finali è certificata GMP, ovvero risulta conforme ai principi descritti dalle Good Manufacturing Practice (norme di buona preparazione, ovvero un insieme di regole, procedure e linee guida in base alle quali vengono prodotti farmaci, cibi e sostanze farmacologicamente attive). Tutto il processo produttivo, quindi, dalla semina alla coltivazione, dall’estrazione alla produzione finale, si basa su un fondamentale sistema di qualità che ha lo scopo di garantire una consistente qualità e sicurezza di tutti i prodotti. Recentemente, Enecta ha rilasciato sul mercato due nuove varietà di Cannabis (o canapa industriale): Enectaliana, ad alto contenuto di CBD, ed Enectarol, ad alto contenuto di CBG. La collaborazione con ‘Canvasalus’, laboratorio di ricerca, è servita a testare i semi delle nuove varietà e la loro stabilizzazione. Nel 2019 è iniziato il percorso di registrazione di Enectaliana ed Enectarol nel Catalogo Nazionale Olandese. Dopo aver superato con successo i primi test, l’Autorità Agricola Olandese ha rilasciato l’autorizzazione per l’immissione in commercio delle due varietà in quantità limitata. Nel 2022 le varietà concluderanno il loro processo di registrazione e saranno iscritte nel Catalogo comune europeo, diventando commercializzabili senza alcun limite. Le due varietà sono state progettate al fine di ottenere una maggiore quantità di biomassa, circa 2-2,5 tonnellate ad ettaro, con una minore quantità di semi (105 grammi per ettaro), oltre che un’importante percentuale di cannabinoidi: 5-6% di CBD e 4-5% di CBG, circa il doppio rispetto a tutte le varietà momentaneamente presenti sul mercato. Queste percentuali possono anche aumentare in base alle tecniche di coltivazione e alle destinazioni d’uso. Il valore di THC rimane inferiore al limite stabilito dalle normative vigenti. Il modello di produzione di Enecta è attento alla sostenibilità, volto a minimizzare l’impatto ambientale. Le coltivazioni Enecta sono unicamente outdoor, ovvero coltivate all’esterno e non in ambienti controllati (indoor). L’outdoor, di fatto, permette di sfruttare le sostanze nutritive naturalmente presenti nel terreno come l’esposizione naturale alla luce solare, senza alcuna necessità di organizzare impianti di ventilazione, sistemi di illuminazione e di controllo dei parametri ambientali, che comportano un alto consumo energetico e un forte impatto ambientale. L’outdoor comporta un netto miglioramento delle condizioni ambientali, dalle condizioni del suolo a quelle climatiche (anche grazie alla capacità della Cannabis di sequestrare importanti quantità di CO2). Per il 2025 Enecta ha l’ambizione di arrivare all’obiettivo dello zero waste, utilizzando tutti gli scarti per una nuova produzione e per altri fini diversi dallo smaltimento. L’obiettivo è introdurre il materiale di scarto in altre produzioni e settori, così da contribuire all’economia circolare. Autore: Redazione Cannabeta
Il Cannabidiolo (CBD) viene impiegato per trattare i sintomi di alcune forme di epilessia farmaco-resistente. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha evidenziato i possibili benefici di questo derivato della Cannabis, che potrebbe essere utilizzato anche in altre forme di epilessia. Per capire quale sia lo stato della ricerca scientifica sui benefici del CBD nell’epilessia e lo scenario clinico entro il quale uno specialista opera, abbiamo intervistato Pasquale Striano, epilettologo e neurologo pediatra presso l’Istituto Giannina Gaslini – Università degli Studi di Genova ed impegnato nella caratterizzazione di alcune forme genetiche di epilessia dell’età evolutiva, in particolare le encefalopatie epilettiche. Nel 2012, Striano ha ottenuto lo European Young Investigator Award on Epileptology, come miglior ricercatore europeo under 45. È attivo da anni nel particolare campo di ricerca che studia gli effetti terapeutici del CBD nelle epilessie. Qual è lo stato attuale della ricerca sull'efficacia dei cannabinoidi nell'epilessia? Negli ultimi anni c'è stato un grande interesse sulle applicazioni terapeutiche dei derivati della Cannabis per il trattamento delle epilessie resistenti. In particolare, gli studi si sono focalizzati sull'utilizzo del Cannabidiolo (CBD). L'attuale interesse è stato sollevato dal caso di una bimba affetta da una rara forma di encefalopatia epilettica (Sindrome di Dravet) che avrebbe tratto enorme beneficio dalla somministrazione di CBD. Da lì è nata la possibilità di sviluppare un farmaco a base di CBD, messo a punto da un’azienda inglese tradizionalmente coinvolta nello studio delle molecole a base di Cannabis. L’Epidiolex, della GW Pharmaceuticals, è l'unico prodotto derivato dalla Cannabis finora approvato dall’ EMA, per l’utilizzo in due forme di epilessia farmacoresistente, Sindrome di Dravet e Sindrome Lennox-Gastaut. Tuttavia, ci sono delle evidenze scientifiche che i prodotti a base di Cannabidiolo possano essere efficaci anche in altre forme di epilessia di diversa natura e tipologia. Per questo motivo c'è un grandissimo interesse per le aziende che trattano derivati della Cannabis a sviluppare prodotti con questa indicazione. Al momento, studi clinici randomizzati sono stati esclusivamente effettuati per le due indicazioni che ho citato prima e quindi non c'è ancora un'evidenza di efficacia che permetta un utilizzo della Cannabis come evidence-based medicine. Che vantaggi comporta l'impiego clinico dei Cannabinoidi per il trattamento dell'epilessia? I cannabinoidi usati nel contesto dell'epilessia hanno dei limiti? L'evidenza dell'efficacia e della sicurezza del CBD nell'epilessia è stata ampiamente dimostrata da studi pubblicati su riviste molto prestigiose. Il vantaggio principale rispetto alle cure standard è rappresentato dal fatto che CBD sembra avere dei meccanismi d'azione che sono diversi rispetto alle molecole impiegate attualmente. Se un paziente con epilessia è resistente ai farmaci - ovvero: ha già provato almeno due farmaci antiepilettici senza ottenere risultati significativi - è lecito pensare di ricorrere a una molecola, come il CBD, che ha più meccanismi d'azione ‘non convenzionali’. In particolare, sembra che l'efficacia sia correlata all'azione di un recettore che si chiama TRPV1, che in realtà è il recettore della capsaicina (cfr. principale ingrediente attivo del peperoncino rosso). Ma i meccanismi sono senz’altro molteplici ed ancora in fase di studio (vedi seguito). I vantaggi, inoltre, derivano dal fatto che il CBD può essere utilizzato sia in età pediatrica che in età adulta. I limiti attuali dell'utilizzo del Cannabidiolo, invece, sono principalmente rappresentati dalla scarsa disponibilità di dati clinici e studi clinici sulle forme di epilessia più comuni. È importante rimarcare al momento che, seppur non possiamo escludere che il CBD possa essere efficace in altre forme di epilessia, questa indicazione è limitata alle forme farmacoresistenti. In che maniera il Cannabidiolo esercita la sua azione nei confronti delle persone affette da epilessia? Come agisce nello specifico? Il Cannabidiolo può fungere, inoltre, da antagonista del GPR55, una proteina accoppiata al recettore G espressa nel nucleo caudato e nel putamen, ma potrebbe agire anche come recettore parziale 5-HT1a, responsabile tra l’altro dei possibili effetti antidepressivi ed ansiolitici del CBD. Gli effetti farmacologici del Cannabidiolo sono stati, inoltre, attribuiti all'inibizione della Fatty Acid Amide Hydrolase (FAAH), l'enzima responsabile dell'idrolisi dell'anandamide, uno dei principali endocannabinoidi prodotti dal corpo. Infine, da ricordare che il CBD ha una bassa affinità con i recettori del THC (ovvero CB1 e CB2) ma può potenziarne gli effetti aumentando la densità del recettore CB1 o estendendone la durata degli effetti inibendo gli enzimi CYP3A e CYP2C. Ci sono delle linee guida che possono aiutare i medici nell'indicazione del Cannabidiolo per i loro pazienti? Prescrivere la Cannabis ad uso terapeutico, in Italia, è legale. C'è una legge del dicembre 2013 che dice che il medico può descrivere una preparazione magistrale galenica con una ricetta non ripetibile. Però il costo del prodotto è a carico del paziente. Epidiolex è autorizzato esclusivamente su pazienti con Sindrome di Dravet, e Lennox-Gastaut in aggiunta ad un altro farmaco (clobazam). E’ probabile che queste indicazioni nel corso degli anni a venire vengano ampliate, perché le evidenze sulla sicurezza e sull'efficacia di questo farmaco è sempre maggiore ed è verosimile che ci possa essere una estensione delle indicazioni. Ogni medico specialista è padrone delle proprie prescrizioni, quindi la limitazione è nella scarsa conoscenza di come deve essere utilizzato: i dosaggi, la velocità con cui eventualmente aumentare il dosaggio, quali effetti monitorare. Non esistono delle vere linee guida, ma delle indicazioni sui vari siti ufficiali, ad esempio quello della LICE - Lega italiana contro le epilessie, che ha una commissione ad hoc che suggerisce come utilizzare al meglio i prodotti a base di Cannabis. Si parla da alcuni anni dei benefici che il Cannabidiolo può comportare per un paziente affetto da epilessia infantile farmaco resistente. Nella pratica clinica come si procede? Quale iter si segue per avviare un trattamento con il Cannabidiolo in aggiunta o meno alla terapia standard? La prima cosa è che questo è possibile sempre ed esclusivamente dietro supporto e consiglio di un medico epilettologo. Farsi prescrivere, come succede nella gran parte dei casi, un farmaco per trattare le crisi epilettiche da una persona che si occupa di altri campi (di dolore o di oncologia) è estremamente sbagliato e controproducente. Non per un problema di sicurezza, ma perché si rischia di stimare in maniera non corretta l'efficacia del Cannabidiolo, in quanto viene di solito utilizzato a dosaggi molto più bassi della dose che di solito può essere realmente efficace. Nella mia esperienza, quando ho visto genitori che inevitabilmente si rivolgono ad altri specialisti, ho visto fallire miseramente i tentativi prima di tutto a causa di un dosaggio inadeguato. In secondo luogo, non si può chiedere di utilizzare il Cannabidiolo perché, nella concezione di molti, è un “prodotto naturale”. Nel momento in cui viene usato come un prodotto farmaceutico bisogna combattere questa idea sbagliata che si tratti di un prodotto naturale che fa “meno male”. Probabilmente attivo più di alcuni, ma sicuramente non puó essere la prima scelta o essere utilizzato come terapia unica. Quindi va utilizzato sempre in aggiunta alla terapia standard. Nel momento in cui un medico propone la possibilità di utilizzo di Cannabinoidi, quali sono le reazioni dei pazienti e dei loro famigliari? C'è una diffidenza nei confronti di questa possibilità? Nel momento in cui dovessero emergere delle resistenze a questo tipo di trattamento, come si pone il medico nei confronti del paziente? Non ho mai avvertito da parte di genitori o di pazienti una diffidenza nei confronti del Cannabidiolo. C'è un grandissimo entusiasmo quando si propone questo tipo di trattamento che nella gran parte dei casi viene richiesto. Quindi, diciamo che questo atteggiamento che è da un lato positivo, dall'altro può essere anche controproducente perché il CBD non è la panacea. È una molecola e merita di sicuro un trial terapeutico ma non può essere considerato né qualcosa di naturale né qualcosa di efficace per tutte le situazioni. Che benefici comporta il Cannabidiolo nelle forme di epilessia che possono risultare refrattarie alla terapia con farmaci antiepilettici? Il CBD è un prodotto al momento molto costoso per cui se viene dimostrato dal medico epilettologo che c'è un effetto sulle crisi e questo effetto è anche indiretto con un miglioramento della qualità della vita, allora ne è giustificato l'utilizzo. Studi con Epidiolex hanno anche dimostrato un impatto sulla qualità della vita nella maggior parte dei pazienti e dei genitori. L'effetto positivo, oltre che sulle crisi, viene registrato anche su altri aspetti: cognitivi, comportamentali, neuropsichiatrici e sulla qualità del sonno. Chiaramente, trattandosi di un farmaco, bisogna fare inevitabilmente i conti con degli effetti collaterali: non può essere dato a tutti con lo stesso dosaggio. Bisogna monitorare soprattutto gli effetti sul fegato e a livello sistemico. Al di là delle situazioni specifiche come la Sindrome di Dravet o la Sindrome di Lennox-Gastaut, c'è una enorme richiesta per forme di epilessia più comuni. Le evidenze sono meno chiare, ma è molto verosimile che ci possa essere un beneficio clinico. Ma in questi casi, non essendoci farmaci approvati, bisogna ricorrere a preparazioni galeniche oppure a dei prodotti che non sono neanche registrati come farmaci. Questo avviene per via di un gap legislativo e di autorizzazioni che mancano e che dovrà essere colmato nei prossimi anni. La cosa importante è che per orientarsi nella giungla di prodotti a base di CBD disponibili è sempre fondamentale rivolgersi al medico specialista, l'unico che può consigliare prodotti utili. Il Cannabidiolo è una molecola estremamente utile, non solo per l'epilessia, ma potenzialmente anche per molte condizioni neuropsichiatriche. Se vogliamo capire bene come funziona, dobbiamo aumentare la consapevolezza di questa possibilità di utilizzo. È necessario fare corretta divulgazione al pubblico, soprattutto con un approccio multidisciplinare, per veicolare le giuste informazioni. Autore: Redazione Cannabeta
Nel 2018, in Italia, sono stati effettuati controlli antidoping nel corso di 141 manifestazioni sportive che hanno coinvolto 594 atleti, di cui 388 maschi (65,3%) e 206 femmine (34,7%), con un’età media di di 25,7 anni (26,3 i maschi e 24,7 le femmine). Dai risultati delle analisi [1] condotte dal laboratorio antidoping della FMSI (Federazione medico Sportiva Italiana), è emerso che dei 594 atleti controllati, 13 sono risultati positivi ai test antidoping (il 2,2% degli atleti sottoposti a controllo). I principi attivi che sono stati rivelati ai controlli si suddividono in: Cannabinoidi 33,3% (THC, 5 casi) Agenti anabolizzanti 26,7% (2 casi con Tibolone, 1 con Mesterolone e 1 con Clostebol) Stimolanti 26,7% (4 casi. Oxilofrina, Efedrina, Tuaminoeptano e Cocaina) Modulatori ormonali e metabolici 6,7% (1 caso. Meldonio) Narcotici 6,7% (1 caso. Metadone) L’attività di controllo antidoping del Ministero è affidata dalla legge 14 dicembre 2000, n.376 alla Sezione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive. I casi di positività al delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), uno dei più noti principi attivi della pianta di Cannabis, hanno rilanciato l’interesse nei confronti delle norme che regolano l’impiego in ambito sportivo del cannabidiolo (CBD), un altro principio attivo della Cannabis che negli ultimi anni viene impiegato da alcuni atleti e che non è considerato sostanza dopante. Cosa si intende per sostanze dopanti Secondo la Legge 14 dicembre 2000, n. 376 che disciplina in Italia la tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, per doping si intende “la somministrazione o l´assunzione di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’ adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’ organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”. Nell’elenco delle sostanze ritenute dopanti rilasciato a gennaio 2018 dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA-AMA) [2], sono suddivise per categoria tutte le sostanze che sono proibite nell’ambito della pratica sportiva. Il cannabidiolo non figura tra queste, con esplicita esclusione dall’elenco. Con il decreto dell’11 giugno 2019, anche l’Italia recepisce l’elenco elaborato dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA-AMA). Usi, divieto ed effetti avversi della Cannabis nello sport I cannabinoidi sono naturalmente prodotti dalla pianta di Cannabis oppure possono essere sintetizzati chimicamente (e in questo caso si parla di cannabinoidi sintetici). Di oltre 100 cannabinoidi presenti nella pianta, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) è il principale composto psicoattivo. Altri cannabinoidi includono composti come il cannabidiolo (CBD), il cannabinolo (CBN) e il cannabigerolo (CBG). L’Agenzia Mondiale Antidoping include nell’elenco delle sostanze dopanti (e quindi li proibisce) tutti i cannabinoidi naturali e sintetici ad eccezione del cannabidiolo (CBD). Cannabis, Hashish e Marijuana sono tassativamente proibiti così come sono vietati anche i prodotti, compresi cibi e bevande, contenenti cannabinoidi. In aggiunta, sono vietati tutti i cannabinoidi sintetici che imitano gli effetti del THC. Il motivo dell’esclusione del cannabidiolo va probabilmente ricercato nel suo recente impiego da parte degli atleti come sostanza sostitutiva o da affiancarsi a farmaci antidolorifici e dal corpus di conoscenze raggiunte sulle sue proprietà biochimiche e attivitá farmacologiche. L’esclusione del CBD dalla lista delle sostanze proibite L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa da tempo in merito al cannabidiolo e al suo ottimo profilo di sicurezza [3]. In parallelo, la ricerca scientifica sta mettendo gradualmente in luce quelli che sono gli effetti benefici di questo principio attivo, sempre più apprezzato anche in ambito sportivo. Gli effetti analgesici, antinfiammatori e miorilassanti del CBD hanno fatto sì che venisse sempre più impiegato dagli atleti di varie discipline. È il caso, ad esempio, di quegli atleti che competono in discipline dove è abbastanza comune incorrere in dei traumi. A eccezione del cannabidiolo, i principi attivi della pianta di cannabis sono inclusi nella lista stilata dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA-AMA). Il dibattito sul considerare ancora i cannabinoidi come sostanze dopanti resta aperto. La Cannabis - nella totalità dei suoi principi attivi - non migliora le prestazioni in senso tradizionale. Negli studi e review scientifiche sugli effetti della Cannabis sulla performance sportiva [4,5,6] si evidenzia come la Cannabis non comporti alcun miglioramento nella prestazione. Tuttavia, restano dubbi sull’effettivo impatto della Cannabis sulla salute dell’atleta e, con particolare riferimento al THC, sulla sua compatibilità nel contesto della competizione sportiva [4]. Per il momento, l’impiego, a vario titolo, di prodotti a base di cannabis da parte degli atleti rappresenta una novità. La legittimità di mantenere i principi attivi della pianta di Cannabis tra le sostanze dopanti continua a essere oggetto di discussione [7]. Possibili benefici del CBD in ambito sportivo Il cannabidiolo viene sempre più spesso utilizzato da quegli atleti - ancora attivi o a fine carriera - che si trovano a fare i conti con il dolore. La ricerca riporta il suo potenziale impiego nel trattamento del dolore provocato da un’infiammazione e vi sono studi che hanno indagato l’efficacia del cannabidiolo su molte condizioni infiammatorie [8,9]. Emergono anche i primi dati che indicano come il CBD protegga le articolazioni contro danni gravi e riduca il processo infiammatorio [10]. L’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA-AMA) ricorda, però, di fare sempre attenzione. Benché il cannabidiolo non sia proibito, gli atleti dovrebbero sempre considerare che alcuni oli di CBD o altri prodotti a base di cannabidiolo potrebbero contenere anche una modesta - ma sensibile ai controlli antidoping - quantità di THC. Per evitare di risultare positivi ai controlli, è bene assicurarsi di assumere un prodotto al cannabidiolo privo di altri principi attivi “proibiti”. Bibliografia R. Pacifici, et al., Reporting System, Doping Antidoping 2018, Istituto Superiore di Sanità. World Anti-Doping Agency (WADA-AMA), Prohibited List Q&A, 2018. World Health Organization, Expert Committee on Drug Dependence, CANNABIDIOL (CBD) Critical Review Report, Geneva, 4-7 June 2018. Hilderbrand RL, High-performance sport, marijuana, and cannabimimetics. Journal of Analytical Toxicology 2011, Nov; 35(9):624-37. Kennedy MC, Cannabis: Exercise performance and sport. A systematic review. Journal of Sport Medicine 2017 Sep; 20(9):825-829. Ware Mark A. et al, Cannabis and the Health and Performance of the Elite Athlete Clinical Journal of Sport Medicine 2018, Sep;28(5):480-484. Zeiger S. Joanna et al., Cannabis use in active athletes: Behaviors related to subjective effects, PLoS One, 2019; 14(6). Ethan B. Russo, Cannabinoids in the management of difficult to treat pain, Therapeutics and Clinical Risk Management 2008, Feb; 4(1): 245–259. Li H. et al., The non-psychoactive phytocannabinoid cannabidiol (CBD) attenuates pro-inflammatory mediators, T cell infiltration, and thermal sensitivity following spinal cord injury in mice, Cellular Immunology 2018 Jul; 329:1-9. Holly T. Philpott et al., Attenuation of early phase inflammation by cannabidiol prevents pain and nerve damage in rat osteoarthritis, Pain 2017, Dec; 158(12): 2442–2451. Tandon Shikha, Treating the Elite Athlete: Anti-Doping Information for the Health Professional, Mo Med 2015 Mar-Apr; 112 (2): 122–128. Autore: Redazione Cannabeta
Nuovi dati clinici indicano che la singola somministrazione di CBD (somministrazione acuta) è in grado di ridurre sia i sintomi dell’ansia che i tremori in soggetti affetti da Morbo di Parkinson (PD), soprattutto, quando questi sono sottoposti a situazioni ansiogene. Proprietà ansiolitiche del Cannabidiolo Tra le sue numerose proprietà ad azione terapeutica, il Cannabidiolo (CBD) possiede anche quella neuroprotettiva e ansiolitica [1,2]. Il CBD, infatti, interagisce con diversi neurorecettori, tra cui il recettore 5-HT1A che svolge un ruolo essenziale nel controllo dell'ansia [3]. Ad oggi, proprio per questa ragione, gli effetti della somministrazione del CBD vengono studiati in patologie neurodegenerative, come il Morbo di Parkinson (PD) [1,2], malattia che colpisce circa il 3,3% della popolazione con età ≥ 64 anni [4]. In soggetti affetti da PD, oltre ai segni motori (tremori) causati dalla compromissione del sistema dopaminergico, non è rara la presenza di altri segni e sintomi non motori dovuti alla degenerazione di alcuni distretti del sistema nervoso, come l’amigdala. Quest’ultima, in particolare, appare di dimensioni ridotte nei soggetti affetti da PD, con conseguente aumento dei sintomi tipici dell’ansia [5], che affliggono il 67% dei pazienti con Malattia di Parkinson. Inoltre, un dato da non sottovalutare è che i segni clinici motori e non motori sono correlati: i tremori, infatti, possono peggiorare quando i soggetti con PD vivono situazioni ansiogene, come quando, ad esempio, si parla di fronte ad un pubblico numeroso [6]. Efficacia del Cannabidiolo sui sintomi dell’ansia e sui tremori: cosa ci dicono gli ultimi dati La valutazione degli effetti del CBD sull’ansia e sui tremori, indotti da un test di simulazione di conversazione pubblica (Simulated Public Speaking Test - SPST), è stata per la prima volta effettuata dal Dipartimento di Gerontologia dell’Università federale di Sao Carlos, Brasile. Lo studio, controllato randomizzato crossover in doppio cieco, è stato condotto su 24 soggetti affetti da PD a cui è stato somministrata una singola dose di 300 mg di CBD, con un intervallo di wash-out di 15 giorni. I pazienti sono stati quindi sottoposti a due sessioni sperimentali di SPST, nelle quali è stata valutata l’efficacia del CBD sui sintomi dell’ansia e sull’ampiezza dei tremori. I risultati hanno mostrato una differenza statisticamente significativa nello stato di ansia, misurata con la scala VAMS (Visual Analog Mood Scales ) tra i due gruppi in studio, registrando livelli di ansia minori per il gruppo trattato con CBD. Allo stesso modo, nei soggetti trattati con CBD, è stata registrata una riduzione nella frequenza e nell’ampiezza dei tremori [7]. Applicazioni terapeutiche future La capacità del CBD di attenuare l’ansia e diminuire i tremori in pazienti con PD sottoposti a stress, potrebbe dunque fare di questa molecola una valida alternativa terapeutica. Infatti, i soggetti affetti da PD, ad oggi, vengono trattati con farmaci che generalmente provocano un aumento dei tremori e il peggioramento delle capacità cognitive, oltre a numerosi altri effetti collaterali [8]. A questi promettenti dati, tuttavia, come dichiarato dagli stessi Autori, andrebbero affiancati nuovi e più approfonditi studi. In particolare, nel prossimo futuro sarebbe necessario valutare l’impatto della somministrazione cronica del CBD sui disturbi d'ansia nei pazienti con malattia di Parkinson [7]. Fonti: Campos AC, et al. (2016) Cannabidiol, neuroprotection and neuropsychiatric disorders. Pharmacol Res 112:119–127. Pisanti S, et al. (2017) Cannabidiol: state of the art and new challenges for therapeutic applications. Pharmacol Ther 175: 133–150. Campos AC, et al. (2012) Multiple mechanisms involved in the large spectrum therapeutic potential of cannabidiol in psychiatric disorders. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci 367: 3364–3378. Barbosa MT, et al. (2006) Parkinsonism and Parkinson’s disease in the elderly: a community-based survey in Brazil (the Bambui study). Mov Disord 21: 800–808. Vriend C, et al. (2016) A smaller amygdala is associated with anxiety in Parkinson’s disease: a combined Free- Surfer-VBM study. J Neurol Neurosurg Psychiatry 87: 493–500. Chagas MHN, et al. (2017) Can anxiety increase tremors in patients with Parkinson’s disease? An experimental model. Eur Arch Psychiatry Clin Neurosci 44: 85–88. de Faria SM, et al. Effects of acute cannabidiol administration on anxiety and tremors induced by a Simulated Public Speaking Test in patients with Parkinson's disease. J Psychopharmacol. 2020 Feb;34(2):189-196 Pontone GM, et al. Pharmacologic treatment of anxiety disorders in Parkinson’s disease. Am J Geriatr Psychiatry. 2013. 21:520-528. Autore: Simona M. Purrello, PhD