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Il CBD non è una sostanza dopante

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Il rapporto tra cannabis e sport è stato ampiamente dibattuto. Di recente il CBD è stato escluso definitivamente dall’elenco di sostanze considerate “dopanti”.

Il cannabidiolo (CBD) non è una sostanza dopante anche secondo le norme italiane sull’antidoping.

Il 20 settembre 2019, infatti, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto n. 221 dell’11 giugno 2019 che esclude il cannabidiolo (CBD) dall’elenco delle sostanze ritenute proibite in ambito sportivo. 

Si tratta di una grande conquista per tutti gli atleti e le atlete che utilizzano prodotti con cannabidiolo per la propria salute quotidiana. Il decreto italiano arriva al termine di un percorso abbastanza lungo. Nel corso degli ultimi anni è emerso sempre più chiaramente come il cannabidiolo (CBD), al netto di ogni verifica, non comporta un effetto dopante. Allo stesso tempo, tuttavia, sono sempre di più le persone che lo impiegano nel contesto della pratica sportiva.

Cannabidiolo e sport

Il dibattito sulla legittimità di usare prodotti con cannabidiolo (CBD) risale a molti anni fa. Se si parla di cannabis in generale, il tema ha iniziato a essere dibattuto nel corso degli anni ‘80. 

Ai tempi, negli Stati Uniti, l’opinione generale era contraria all’impiego della cannabis in ambito sportivo e i margini di utilizzo erano quasi inesistenti, limitati a un impiego non agonistico tra non professionisti. Nell’ambito degli sport praticati in maniera agonistica, si è registrato un forte aumento nell’uso di farmaci oppiacei per intervenire su dolore e infiammazioni; un fenomeno che è stato alla base di un consistente numero di casi di dipendenza. 

Nel corso del nuovo millennio, si sono registrate le prime - graduali - aperture all’impiego del cannabidiolo (CBD) in ambito sportivo. Nel 2013, l’Agenzia Mondiale anti doping (WADA-AMA), ha innalzato il livello di tolleranza ai principi attivi di cannabis riscontrabili in un atleta, da 15 nanogrammi per ml fino a 150 nanogrammi per ml. 

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Il CBD non è più considerato doping

Dal primo febbraio 2018 la WADA-AMA ha ufficialmente rimosso il cannabidiolo (CBD) dalla lista delle sostanze proibite. Il riferimento al cannabidiolo, nel documento della WADA-AMA, è molto esplicito. Rimangono tassativamente vietati gli altri cannabinoidi (di origine naturale o sintetica), ma viene escluso, in toto, il cannabidiolo (CBD). Pur aprendo definitivamente all’impiego del cannabidiolo in ambito sportivo, le direttive della WADA-AMA fanno ben presente che il cannabidiolo estratto dalle piante di cannabis può contenere anche varie concentrazioni di THC, che rimane una sostanza proibita. Dato che CBD è consentito ma il THC non lo è, gli atleti che sperano di utilizzare la sostanza senza fallire un test di droga dovranno assicurarsi che utilizzino CBD derivato da canapa o CBD di alta qualità che è stato interamente separato da qualsiasi livello tracciabile di THC. 

Man mano che il dibattito sul cannabidiolo e sui suoi benefici viene fatto rientrare in un ambito sempre più razionale e scientifico, allontanandosi così dai taboo del passato, è bene essere correttamente informati sulle potenzialità di questo principio attivo della pianta di cannabis.

Sul sito di CannaBeta, portale di informazione scientifica sull’utilizzo terapeutico della Cannabis rivolto a medici e professionisti sanitari, si possono trovare tutte le più recenti informazioni sui risultati della ricerca scientifica sulla cannabis e le sue possibili applicazioni. 

 

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