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Cannabis Social Club, a che punto siamo con la sfida spagnola

    INDICE

Parliamo dei Cannabis Social Club, nati in Spagna oltre un anno fa e punto di riferimento per tutti coloro che trovano nella Cannabis un valido strumento per cercare supporto terapeutico a varie patologie.

Tuttavia non mancano le difficoltà e noi cerchiamo di capirne di più attraverso un’intervista realizzata da Alessandro Oria, presidente di Assonabis, con Martin Barriuso, storico leader antiproibizionista spagnolo, fra i creatori del movimento dei Cannabis Social Club in Spagna e fondatore della storica Federazione della Associazioni Cannabiche (FAC). Intervista pubblicata su “VersoUngass2019 – FuoriLuogo”

 

Il modello dei Cannabis Social Club che futuro ha in Spagna?

Il futuro dei Cannabis Social Club in Spagna dipenderà soprattutto da come si legifererà nei prossimi anni, se non mesi. Quello che vediamo oggi è il risultato di una poco chiara regolazione degli anni ’70, ma già nel prossimo futuro le cose potrebbero cambiare. Ad ogni modo i club in Spagna sono molto radicati, diverse istituzioni li accettano come alternativa ragionevole al modello del narcotraffico e soprattutto godono di una grande accettazione sociale. Nei sondaggi i favorevoli ai CSC sono già più numerosi dei detrattori, soprattutto fra la popolazione più giovane. Crediamo che in una futura regolazione possano coesistere l’autocoltivo, i social club e un circuito commerciale.

 

Puoi spiegare al pubblico italiano, che conosce soprattutto Barcellonabis, la differenza che corre fra un vero Cannabis Social Club e un CSC commerciale? Che ruolo pensi hanno svolto i Cannabis Social Club commerciali nello sviluppo e nell’attualità della lotta cannabica?

I veri Cannabis Social Club sono entità democratiche, partecipative e senza animo di lucro. Già da anni, e soprattutto a Barcellona, hanno preso piede falsi club dietro cui si nascondono imprese con fini di lucro. D’associazione hanno solo il nome e alcune portano le insegne commerciali dei loro veri promotori, in alcuni casi banchi di semi (per esempio, Strain Hunters Club in numerose città spagnole, ndr). I club commerciali, generalmente, servono come coperture per guadagnare denaro a mucchi vendendo marijuana prodotta clandestinamente, e incluso per giustificare coltivi destinati all’esportazione.

Questi falsi club han fatto molto male al movimento cannabico. Agiscono su scala industriale, alcuni istigano chiaramente al consumo, si mischiano con le reti internazionali del narcotraffico e con le mafie… Tutto ciò ha generato allarme fra le fila dei proibizionisti, e credo che l’offensiva repressiva che abbiamo sofferto (Sentenze Cassazione, Legge Mordaza, Legge del Traffico, ndr) sia stata causata dall’allarme generato da gente che si è approfittata del nostro lavoro di attivisti per arricchirsi. Il peggio è che la repressione si è concentrata sulle associazioni più attiviste. Molte associazioni storiche come Pannagh o La Maca di Barcellona sono state messe fuori gioco, mentre nella Rambla di Barcellona continuano a imperversare personaggi che intercettano i turisti per portarli ai falsi club.

 

Quali sono i rischi e quali le opportunità per ottenere finalmente una (giusta) regolamentazione della marijuana in Spagna?

Il rischio principale è la commercializzazione, che già si sta producendo. La cannabis muove molto denaro e c’è molta gente che può provare a pervertire il processo di regolamentazione per affermare oligopoli. Tuttavia, io sono molto ottimista. Nel movimento cannabico abbiam fatto un gran lavoro per cambiare la percezione sociale della cannabis, e credo che abbiamo raggiunto in larga parte i nostri obiettivi. Le nuove generazioni non capiscono nè accettano il proibizionismo e questo può ancora crescere nel futuro. I partiti politici lo sanno e alcuni hanno cambiato radicalmente la propria posizione. Nei distinti parlamenti regionali e nazionale si sta parlando molto di una nuova regolamentazione e son convinto che sia solo questione di tempo per arrivarci.

 

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Fonte: ungass2016.fuoriluogo.it

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