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Enecta, intervista con il dottor Privitera "Cannabis farmaco per tutti"

    INDICE

 

Torniamo ad occuparci delle proprietà terapeutiche della Cannabis, su ciò che sta accadendo in Italia e non solo, attraverso l’intervista con dottor Carlo Privitera, Medico Chirurgo, Specialista in Chirurgia Generale e d’Urgenza. Da qualche anno sta approfondendo Studi sulle proprietà farmaceutiche della Cannabis e dei Cannabinoidi!

 

Dottor Privitera oggi sui media, sul web ed in generale si fa un gran parlare di Cannabis Terapeutica, dal suo punto di vista, come giudica lo stato delle cose in Italia?

Schizofrenico. Da un lato una buona normativa che regolamenta l’uso medico della cannabis, dall’altro una burocrazia che sembra volta a porre insensati ostacoli al diritto alla cura dei malati. Poi ci sono i dottori (da distinguere dai Medici), per i quali non esiste informazione, educazione scientifica e che spesso confondono i pazienti con i fatidici “nel tuo caso non si può usare”, o, ancora più esilarante “io non ci credo” (come se stessimo parlando di religione!).

 

Da qualche anno sta approfondendo gli studi sulle proprietà terapeutiche della Cannabis e dei cannabinoidi assistendo oltre cento pazienti. Quali sono le evidenze maggiori che sono emerse nelle sue Ricerche in merito all’efficacia della Cannabis?

I pazienti sono ormai più di 800, ma è ancora troppo presto per parlare di evidenze (in senso scientifico): a fronte di una corposa mole di lavori cosiddetti preclinici (che riguardano gli studi di laboratorio), solo da pochi anni stanno iniziando ad apparire studi circa i risultati ottenuti sull’uomo e ancor meno sono i lavori che interessano elevati numeri di pazienti.

Le evidenze che posso riferire in questa sede, al momento sono quelle che sapevamo già: la cannabis è una sostanza priva di rischi, che trova indicazione per il trattamento di numerosi quadri patologici, grazie all’interazione che si stabilisce tra il farmaco ed il complesso sistema endocannabinoide, la cui funzionalità è praticamente sempre compromessa negli stati cronici di malattia.

 

Quali le perplessità e le esigenze maggiori che i pazienti esprimono?

Le perplessità dei pazienti sono quelle relative al rischio di carenza del farmaco. Ogni anno, a causa di “calcoli fatti male”, lo Stato richiede (e/o produce) una quantità di infiorescenze assolutamente insufficiente a soddisfare un mercato che ha un tasso di incremento superiore al 300%. E, puntualmente, ogni anno viene apposta una cifra sottostimata almeno dell’80%.

 

 

Lei è fautore del progetto MediComm, di cosa si tratta?

Si tratta del risultato di una riflessione, che mi ha portato a lasciare la mia attività ospedaliera, per cercare, nel mio piccolo, di trovare una soluzione per quel 14% (in Sicilia 24%) di italiani che non possono curarsi per motivi economici (dati ISTAT). Il buon vecchio Ippocrate diceva “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa”: non ho più ritrovato tutto ciò nell’impostazione della medicina moderna. Che importa quanto sia bravo e quanto possa essere alto il mio onorario, se comunque le persone non possono permettersi i miei servizi?

Progetto MediCOmm è il primo portale di “teleassistenza medica attiva” in Italia. Acquisiamo i dati clinici dei pazienti (e i referti medici), per “cucire” su ogni paziente il migliore protocollo terapeutico personalizzato, utilizzando la tecnologia dell’informazione per poter restare sempre in contatto con il paziente.

Nelle visite di controllo ambulatoriali, vengono perse il 90% delle informazioni (il paziente dimentica e il medico non chiede). Il sistema di teleassistenza non fa diagnosi (la acquisisce dal paziente, attraverso certificati medici e referti di esami strumentali), e permette l’abbattimento dei costi di gestione del paziente cronico fino all’80% (in un periodo in cui economicamente davvero poche persone possono permettersi il farmaco, è un obbligo morale di ogni operatore cercare di aiutare tutti!).

 

Ci sono abbastanza studi scientifici in Italia per asserire che la Cannabis può essere utilizzata in sicurezza dai pazienti?

Per nostra fortuna siamo nel 2018 e non servono “studi italiani”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sancito che la cannabis medica è uno dei farmaci più sicuri al mondo, che non ha mai determinato complicanze maggiori. Nella letteratura medica internazionale (v. pubmed.org) sono presenti più di 25 mila articoli inerenti la cannabis medica.

La Legge italiana consente, pertanto, la prescrizione (secondo la Legge 94/98 o Legge Di Bella), ma questo prevede che un Dottore debba studiare, per cui la cosa si fa molto più complessa.

 

Cosa significa oggi in Italia lavorare nel settore ‘Cannabis Terapeutica’, quali sono le principali difficoltà per la sua categoria professionale?

Non ci sono difficoltà, a parte la burocrazia (e la confusione dei burocrati), la logistica, la carenza di farmaco, e gli aspetti “religiosi”, ovvero quelli di quei Dottori (non Medici), che pur di non informarsi dicono al paziente che “non credono nella cannabis” (come se si trattasse di fede e non di Scienza!).

L’unica vera difficoltà è dover affrontare ogni giorno la cosiddetta “guerra dei poveri”, condotta da associazioni di malati e di antiproibizionisti, medici, farmacisti che piuttosto che far fronte comune, stanno a misurare le rispettive qualità anatomiche, facendo una gara che negli ultimi anni ha portato solo un rallentamento del reale processo di definizione di un ambito sanitario complicatissimo.

Poi la lotta si fa anche (e so di risultare poco simpatico), contro chi immette giornalmente sul mercato prodotti di dubbia qualità, efficacia e sicurezza.

Per tirare le somme, la maggiore difficoltà la incontriamo quando siamo costretti a dover “contraddire” quello che spesso, ignorantemente e in maniera tendenziosa, viene propinato all’utenza.

 

Sul web circolano molte informazioni, c’è il pericolo di imbattersi spesso in notizie non sempre corrispondenti al vero, la Cannabis non è la “bacchetta magica” che può essere utile in ogni caso, lei cosa consiglia alle persone che cercano la Cannabis Terapeutica?

Dico sempre questo: la cannabis non è la panacea per tutti i mali, né un farmaco che può curare tutte le malattie; la cannabis è però un farmaco che può curare tutte le Persone.

In ogni patologia, come detto sopra, si assiste ad una riduzione della funzionalità del sistema endocannabinoide; pertanto “reintegrare” tali molecole (di origine naturale) tende a ristabilire, per quanto possibile in relazione al quadro clinico, il normale funzionamento dei due principali sistemi di regolazione del nostro corpo: il Sistema endocannabinoidi regola la funzionalità del Sistema Nervoso Centrale e del Sistema Immunitario.

Inoltre la cannabis medica può essere associata ai farmaci convenzionali, con un duplice fine: ridurre il dosaggio del farmaco chimico (i cannabinoidi incrementano l’efficacia terapeutico degli altri farmaci), e migliorare i risultati (si pensi, ad esempio, in ambito oncologico, a quegli studi che dimostrano i benefici dell’associazione tra cannabinoidi e i protocolli di chemio/radio terapia, sia per il controllo degli effetti collaterali di queste ultime, sia in relazione ai migliori risultati oncologici).

 

Senza entrare nello specifico delle vicende politiche italiane, dal suo punto di vista quali potrebbero essere i provvedimenti più efficaci che le Istituzioni dovrebbero adottare per incentivare il settore ed i professionisti?

Provo ad elencare:

Ormai rasenta l’assurdo quel vecchio, ma sempre attuale paradigma italiano per il quale se io non so fare una cosa, allora non la deve fare nessuno (ogni riferimento alla gestione ministeriale del progetto pilota terminato a ottobre del 2017 è puramente casuale).

Il business della cannabis medica produce, nel mondo, miliardi di dollari (o di euro) per il semplice fatto che la produzione non è lasciata ad un impiegato pubblico, ma ad aziende private che hanno molto più interesse a far bene il proprio lavoro, sia in termini qualitativi, che economici (Leggi di mercato)

E’ assurdo come lo Stato sia entrato a gamba tesa sul mercato, imponendo il prezzo di vendita delle infiorescenze, e poi chiuda un accordo per 100 kg di cannabis canadese a 5,60€/g (ai quali, ovviamente, deve aggiungersi il costo della filiera). Piuttosto che autorizzare la produzione all’interno dei confini nazionali, magari gestita e regolata dall’ICFM di Firenze, si preferisce continuare a negare il diritto di cura alle Persone.

I dottori devono essere informati con corsi obbligatori (magari non tenuti da chi ha studiato la cannabis in qualche trafiletto del Corriere della Sera) (n.b.: i Medici hanno una pulsione per la conoscenza che li spinge a studiare sempre, i dottori…sono dottori!)

I dirigenti ministeriali ed ospedalieri dovrebbero ricordarsi di come si calcola l’impatto sociale di una patologia (ovvero spesa sanitaria + perdita di produttività), piuttosto che chiudere in capitolati di spesa stagni le varie voci. Mi spiego meglio: un paziente con fibromialgia, ad esempio, riesce a tornare alla propria attività lavorativa: tradotto in termini più immediati: non solo non costringe lo Stato a pagare per lui centinaia di euro al mese per il trattamento del dolore, ma torna pure a produrre (e, nella migliore delle ipotesi, anche a pagare le tasse).

Ogni altro discorso circa le possibili soluzioni non potrà essere affrontato fino a quando lo Stato non accetterà il fatto che troppe persone stanno male e per troppe persone c’è necessità di questo farmaco. Finché non sarà realmente regolamentata e sbloccata in Italia la produzione da parte di aziende private, ahimè penso non ci sarà soluzione realmente applicabile.

 

Intervista di Giuseppe Cantelmi

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