In questo articolo andremo a vedere come nel caso di malattie neurodegenerative, il cbd possa essere un valido alleato, analizzando:
Per malattie neurodegenerative si intende un gruppo molto vasto e vario di patologie degenerative che colpiscono il sistema nervoso centrale e che, in genere, hanno come caratteristica comune un processo di morte cellulare dei neuroni. Le malattie neurodegenerative più note al pubblico sono la malattia di Parkinson o il morbo di Alzheimer. Negli ultimi anni sempre più persone affiancano l’uso di prodotti alla cannabis per via degli effetti benefici e neuroprotettivi del cannabidiolo (CBD).
Al giorno d’oggi, individuare una malattia neurodegenerativa è ancora oggi molto difficile. La difficoltà di effettuare una diagnosi precisa delle diverse forme di demenza si spiega con il fatto che i sintomi possono essere simili soprattutto nelle prime fasi della malattia. Le demenze, inoltre, possono essere il frutto dell’interazione tra diversi fattori: genetici, neurochimici e, non per ultimo, la presenza di altre malattie.
La demenza in generale interessa dall’1 al 5 per cento della popolazione sopra i 65 anni di età, e circa il 30% delle persone con più di 80 anni. Per demenza, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, si intende genericamente “una condizione di disfunzione cronica e progressiva delle funzioni cerebrali che porta a un declino delle facoltà cognitive della persona. Nella definizione generica di “demenza” rientrano diverse malattie, alcune classificabili come demenze “primarie”, come la malattia di Alzheimer”. Alcune delle più note patologie neurodegenerative sono:
- Sindrome di Alzheimer
- Morbo di Parkinson
- Malattia di Huntington
- Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)
- Paralisi sopra-nucleare progressiva
- Demenza fronto-temporale
- Demenza da corpi di Lewy
- Malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ)
Nel 2015 un rapporto del Ministero della Salute ha illustrato i dati sulle malattie neuro-degenerative e la situazione nel nostro paese. Solo in Italia ci sono 1 milione i casi di demenza, di cui 600.000 dovuti alla Malattia di Alzheimer; a queste si aggiungono 930.000 persone che, a causa di un ictus, vivono con invalidità, 240.000 i pazienti affetti da Morbo di Parkinson, 1 paziente con Sclerosi Multipla ogni 1.000 abitanti, per un totale di 60.000 casi. Si tratta di una situazione molto complessa i cui numeri sono destinati ad aumentare nel tempo a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
Per il momento il processo di neuro-degenerazione non è ancora stato del tutto compreso e le malattie che lo provocano non hanno, di fatto, una cura efficace al 100%. Al momento la comunità medico-scientifica è al lavoro con modelli animali per ricercare nuove potenziali terapie che in un futuro si riveleranno, auspicabilmente, efficaci. In alcuni casi si effettuano trattamenti sperimentali, frutto delle ricerche più recenti.
Ad esempio, una terapia genica potrebbe alleviare i problemi di memoria legati all'Alzheimer. Gli scienziati del Gladstone Institute of Neurological Disease di San Francisco (Usa) hanno scoperto che incrementando nei topi la quantità di un neuro-trasmettitore chiamato EphB2 si riuscirebbe a prevenire o impedire gli effetti sulla perdita di memoria provocati della patologia.
Tuttavia, per il momento, le terapie attuali sono mirate a limitare i sintomi più acuti delle varie patologie, per garantire sollievo al paziente durante il suo percorso.
La cannabis viene ogni giorno di più impiegata per diminuire i sintomi di alcune malattie neurologiche. È il caso, ad esempio, del morbo di Parkinson, su cui è stato dimostrato che il cannabidiolo contribuisce a ridurre i disturbi sia motori che non motori.
In rete è possibile trovare moltissime testimonianze video di persone che utilizzano la cannabis a questo scopo. Uno degli esempi più significativi ha come protagonista un uomo affetto da acatisia, una grave sindrome psicomotoria che si manifesta con l'impossibilità di stare fermi, che riesce a convivere con la malattia grazie all’assunzione di cannabis.
Il motivo dell’efficacia della cannabis risiede nel suo particolare meccanismo d’azione sul sistema endocannabinoide, un sistema biologico presente nel corpo umano composto da endocannabinoidi.
Gli endocannabinoidi sono piccole molecole segnale che derivano da un acido grasso polinsaturo: l’acido arachidonico.
Gli endocannabinoidi attivano i recettori dei cannabinoidi di tipo 1 (denominato CB1) e di tipo 2 (CB2). I primi recettori sono presenti nel cervello e in alcuni tessuti periferici mentre i secondi si trovano prevalentemente nelle cellule del sistema immunitario. L’insieme degli endocannabinoidi di un individuo viene identificato come sistema endocannabinoide.
Il sistema endocannabinoide agisce sulla regolazione di una grande varietà di processi sia fisiologici che cognitivi, come l’appetito, la sensazione di dolore o l’umore. Il cannabidiolo (CBD) agisce indirettamente sui recettori del sistema endocannabinoide.
Il cannabidiolo (CBD) nello specifico non agisce su una particolare patologia: è una sostanza "regolatrice" del nostro sistema endocannabinoide. Il cannabidiolo (CBD) modula dei meccanismi che già sono esistenti e in atto nel nostro organismo. In sostanza, nel momento in cui si attua uno squilibrio o uno scompenso nel sistema endocannabinoide, la modulazione provveduta dal cannabidiolo (CBD) - che agisce, ad esempio, sul sistema immunitario o indirettamente su un processo infiammatorio - tende a ripristinare l'equilibrio originario.
Il cannabidiolo (CBD) viene utilizzato da migliaia di persone in tutto il mondo che, ogni giorno, conducono la propria battaglia contro malattie che, per il momento, non hanno una cura.
La richiesta di queste persone - l’unica - è di potere condurre una vita dignitosa anche grazie ai trattamenti che aiutano a convivere con una patologia.