La cannabis, negli ultimi anni, viene sempre più applicata in ambito medico per accompagnare un paziente nel suo percorso di cura. Tra i tanti ambiti in cui la cannabis e i suoi estratti vengono utilizzati, vi è quello oncologico. Sul tema sono state spese molte parole ma, visto l’utilizzo che ne viene attualmente fatto al netto delle evidenze scientifiche, è bene chiarire il ruolo della cannabis e sfatare alcuni miti.
No. Al momento non ci sono dimostrazioni che la cannabis o i suoi singoli principi attivi (come il cannabidiolo) possano avere un ruolo nel contrastare l’avanzamento di un tumore. Ci sono alcuni studi - nessuno di questi, però, condotto direttamente sull’essere umano - che hanno dimostrato che i cannabinoidi (i principi attivi della pianta di cannabis) possano avere un qualche effetto sulle cellule tumorali. Tuttavia non esistono, per il momento, studi clinici che dimostrino oltre ogni ragionevole dubbio, che la cannabis sia capace di curare la malattia.
Molte equipe di ricercatori e ricercatrici sono al lavoro, da anni, per indagare questa possibilità, visti e considerati i benefici che si riscontrano in altri ambiti. Solo in futuro si scoprirà se alcune sostanze contenute nella pianta di cannabis possano contrastare con efficacia la crescita di una massa tumorale.
L’utilizzo della cannabis in ambito oncologico riguarda i trattamenti palliativi o l’uso per stemperare alcuni degli effetti indesiderati delle terapie antitumorali come, ad esempio, la chemioterapia.
Per comprendere quale sia l’effettivo impiego della cannabis nel campo dell’oncologia, è necessario distinguere per bene la differenza tra la cosiddetta cannabis light e la cannabis terapeutica. Per cannabis light, infatti, dobbiamo considerare i prodotti che vengono ricavati da infiorescenze essicate di cannabis e in cui la concentrazione di THC sia compresa tra lo 0,2% e lo 0,6%. Per cannabis terapeutica, invece, si intendono quei farmaci a base di cannabinoidi che sono stati sviluppati e approvati e introdotti da un numero sempre più consistente di sistemi sanitari nazionali di vari paesi del mondo. In questi prodotti le concentrazioni dei vari principi attivi - come il cannabidiolo (CBD) e il Delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) sono calcolate con estremo rigore.
Uno dei primi studi mirati a esplorare l’applicazione della cannabis sulle persone malate di cancro, aveva evidenziato come i cannabinoidi si fossero dimostrati molto efficaci - più di altri farmaci - nel ridurre notevolmente gli effetti collaterali della chemioterapia.
Nel 2010, invece, i ricercatori del dipartimento di psicologia dell’Università di Guelph, in Canada, avevano trovato prove considerevoli che la regolazione del sistema endocannabinoide comporti una riduzione della sensazione di nausea.
L’effetto anti-emetico dei cannabinoidi in generale è stato dimostrato da alcuni studi sugli animali. Sarebbe l’azione sul recettore CB1 del sistema endocannabinoide a comportare la soppressione della sensazione di dover vomitare. Il cannabidiolo (CBD), in particolare, può sopprimere nausea e vomito anche se assunto in dosi limitate.
A ciò si aggiunge il sempre maggiore impiego del cannabidiolo per contrastare una condizione di dolore cronico. Ogni giorno sempre più, emergono le evidenze degli effetti lenitivi del CBD nei confronti di un dolore ricorrente. È anche per via di queste qualità antinfiammatorie che molte persone e molti ricercatori si stanno interessando alla cannabis in ambito oncologico. Questi effetti antinfiammatori hanno fatto sì che la cannabis venisse affiancata alle cure palliative che mirano a mitigare i sintomi di quelle persone colpite da una malattia al momento incurabile.
I cannabinoidi, inoltre, possono stimolare l’appetito e indurre una sensazione di benessere. Hanno un effetto miorilassante e aiutano coloro i quali soffrono d’insonnia. In generale, i cannabinoidi possono aiutare un paziente bisognoso di cure palliative a stare meglio.
Anche in Italia la cannabis è stata autorizzata a scopo terapeutico e come coadiuvante delle cure palliative. È necessario ricordare, però, che la cannabis non deve essere mai e poi mai considerata come una sostituzione della normale terapia a cui ci si sottopone.
Per questi motivi, qualunque sia la necessità, è bene parlare con il proprio medico e ricorrere a prodotti contenenti cannabis che siano certificati, ricavati e confezionati con estremo rigore e le cui componenti vengano dichiarate con totale esattezza.