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CBD e malattia di Huntington: consigli per l'utilizzo del cannabidiolo

Scritto da STAFF ENECTA | 11 maggio 2020

Una malattia per la quale non c’è cura e un cannabinoide promettente. Malattia di Huntington e CBD: lo stato della ricerca.

Numerosi studi preclinici hanno dimostrato il potere neuroprotettivo dei cannabinoidi in diversi modelli animali di malattie neurodegenerative.

Ciò ha fatto sperare in una possibile utilità clinica, soprattutto in malattie molto gravi come la corea di Huntington, per le quali non si conosce ancora un trattamento efficace.

 

Cos’è la malattia di Huntington?

La malattia di Huntington è una malattia neurodegenerativa genetica che in diversi casi colpisce durante la mezza età e va a minare la coordinazione muscolare oltre ad un declino cognitivo e problemi di carattere psichiatrico.

Dal 1993 se ne conosce la causa genetica come riporta la Lega italiana malattia Huntigton “si tratta di una mutazione da espansione di un tratto del DNA nel gene HTT, che produce una proteina anomala (chiamata huntingtina), che provoca la morte di cellule nervose (neuroni) in alcune aree del cervello”.

Secondo la definizione dell’Unione Europea, “le malattie rare sono quelle che hanno una prevalenza inferiore a 5 casi su 10.000 persone; si stima che siano circa 15 milioni i cittadini dell’Unione Europea (a 27 membri) che soffrono o soffriranno di una malattia rara”.

La malattia prende il nome da George Huntington, il medico americano che l’ha descritta per la prima volta nel 1872, all'età di 22 anni, rappresentandola in tre punti fondamentali: la tendenza al suicidio e al disturbo mentale; l’ereditarietà; il carattere progressivamente invalidante.

Non vi sono farmaci in grado di prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia. Le sostanze attualmente prescritte dal neurologo ai malati possono attenuare i sintomi senza curare.

CBD e malattia di Huntington

L’uso del cannabidiolo (CBD) sui sintomi della malattia di Huntington sono relativamente “antichi” se si pensa che il primo studio clinico condotto a riguardo è precedente di due anni all’individuazione del gene HTT che produce la proteina che manifesta la malattia.

È del 1991, infatti, il primo studio di 6 settimane in doppio cieco, crossover, controllato con placebo, su 15 pazienti affetti da HD ai quali sono stati somministrati 10 mg/kg/giorno di CBD per via orale. Lo studio, in quell’occasione, evidenziava questo cannabinoide era sì sicuro, ma non aveva influito sull’evoluzione o sui sintomi della malattia.

Due ulteriori studi su un solo paziente, non controllati, in cui è stato utilizzato il Nabilone (un cannabinoide instetico) hanno fornito risultati contraddittori sui sintomi della malattia. Nel 2009, invece, è stato condotto uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, in cui il Nabilone (1-2 mg al giorno) è stato somministrato a 37 pazienti affetti da malattia di Huntington durante due separati periodi di 5 settimane. Il Nabilone era sicuro e ben tollerato, ma i suoi effetti erano praticamente identici a quelli del placebo.

In tempi ancor più recenti, nel 2016, è stato eseguito uno studio in doppio cieco, crossover, controllato con placebo, in cui è stato somministrato il Sativex (composto da circa 20 mg di THC e 20 mg di CBD) a 24 pazienti per due periodi di trattamento di 12 settimane. Il Sativex era sicuro e ben tollerato, ma anche in questo caso non sono stati osservati effetti significativi.

Il discorso è cambiato nel momento in cui alcuni studi hanno voluto indagare gli effetti del solo cannabidiolo (CBD). Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Current Pharmaceutical Design ha analizzato il legame tra le anomalie del sistema endocannabinoide e l’ipercinesia associata alla malattia di Huntington.

Secondo gli autori "i recettori CB1, il tipo di recettore coinvolto negli effetti motori degli agonisti ai cannabinoidi, sono significativamente ridotti nei gangli basali durante la progressione della malattia di Huntington e questo rappresenta sia una spiegazione convincente per l'ipercinesia tipica di questo disturbo, sia una dimostrazione dell'utilità di migliorare la segnalazione del recettore CB1 in questa condizione clinica".

Lo studio suggeriva anche che alcuni agonisti di questi recettori possono lavorare per contrastare gli effetti causati dall'ipercinesia, ma non solo.

I cannabinoidi potrebbero essere determinanti nel ritardare o cessare la progressione della malattia di Huntington, proteggendo alcuni neuroni dalla morte. Si ipotizza inoltre che i cannabinoidi esercitino un'azione neuroprotettiva riducendo in parte l'infiammazione e attivando reazioni antiossidanti.

 

CBD e malattia di Huntington: le attuali possibilità

La malattia di Huntington tende a produrre una varietà di condizioni psichiatriche che includono molteplici stati di stress e ansia. Sono numerosissimi gli studi che indicano il CBD come un valido alleato per ridurre l’ansia.

Nonostante siano prescritti antidepressivi,ansiolitici, questi farmaci ha una serie di possibili effetti collaterali negativi. Il cannabidiolo, d’altra parte, non comporta questi effetti collaterali negativi, ma può aiutare a ridurre la tensione e l'ansia, oltre a contribuire a ridurre la nausea, l'irrequietezza o l'insonnia.

In base agli studi più recenti, i ricercatori ipotizzano che la malattia di Huntington possa essere fortemente connessa al sistema endocannabinoide dell'organismo. Questo collegamento potrebbe aiutare a trovare sollievo dall'uso di cannabidiolo per la malattia di Huntington.

La distonia, che è spesso associata al morbo di Huntington, può causare dolore. La cannabis medica è un noto antidolorifico, che può aiutare ad alleviare la sofferenza provata dal paziente.